È tornata alla ribalta in questi giorni, parallelamente alla campagna vaccinale, la proposta, proveniente da alcune Regioni e dall’Unione Europea, di istituire una sorta di «passaporto» o meglio di certificazione (c.d. digital green pass) attestante l’immunità a seguito dell’inoculazione del vaccino contro l’agente virale Sars Cov-2.

Alcuni dubbi in merito:

1) quali sono gli effetti conseguenti al possesso del documento, peraltro in mancanza di una legge che, ai sensi del comma 2 dell’art. 32 della Costituzione vigente, stabilisca l’obbligatorietà della somministrazione? Qualora il «certificato» fosse utilizzato per consentire l’accesso a mezzi pubblici o a strutture pubbliche, o la libera circolazione nel territorio dell’Unione, non si determinerebbe un trattamento irragionevole rispetto a chi ha scelto liberamente di non sottoporsi al vaccino nel pieno esercizio del suo diritto autonomo di autodeterminazione (sent. n. 438/2008 Corte cost.), oltre che un contrasto con un principio cardine del Trattato di Lisbona del 2007?;

2) in assenza di una posizione chiara sulla durata dell’immunizzazione, quanto tempo di validità dovrebbe avere questa «patente»?

3) come gestire eventuali e dubbie disparità tra chi ha effettuato il vaccino e chi deve ancora riceverlo?

4) ammesso che le Regioni, sul punto, intervengano con legge, davvero questa sarebbe esente da profili di incostituzionalità? A me pare, invece, che essa entrerebbe in sfere di competenza rientranti nella potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, del Testo fondamentale: la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e la profilassi internazionale;

5) assegnare il patentino ai vaccinati non alimenterebbe una delle più pericolose fake news, che anche l’Istituto Superiore di Sanità ha tenuto a smentire, ossia la non esenzione, da parte degli immunizzati, del rispetto delle precauzioni anti contagio come mascherine e distanziamento?

Daniele Trabucco (Costituzionalista)

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