di Diego Torre

Che, come popolo, siamo in via di estinzione dovrebbero ormai saperlo tutti. I politici più degli altri. I numeri che l’ISTAT ci fornisce ogni anno parlano di un numero di morti molto soverchiante rispetto ai neonati (stranieri compresi). Che il governo di centrodestra intenda lavorare alla soluzione del problema è certo e lo ha più volte dichiarato. Ma non si sa ancora con quanta determinazione ed incisività.

Il passaggio culturale che renderebbe possibile una simile svolta è la visione dell’istituto familiare che in quell’area politica dovrebbe essere nitida e ben fondata sui principi dell’ordine naturale. La famiglia è una risorsa per la società e non un problema. Essa assiste gli anziani, i fragili ed i disabili con una efficienza maggiore ed un costo minore di quanto possano fare le istituzioni pubbliche. Essa è il luogo naturale in cui nasce la vita e si educano i futuri cittadini. Ed in essa spesso nasce impresa e lavoro nelle condizioni migliori proprio a causa del legame che unisce i soggetti. Nasciamo, cresciamo, ci riproduciamo e moriamo in essa.

Non è retorica definirla cellula fondamentale della società. Anzi, la società, la nazione altro non sono che una famiglia di famiglie. Ciò era ovvio e visibile in tempi in cui a reggere le sorti di un popolo era appunto una famiglia; quella reale per capirci. Era un mondo in cui l’appartenenza familiare aveva una notevole influenza nel destino di ogni persona, a tutti i livelli sociali e culturali, con qualunque fede religiosa, sotto tutti i cieli. Nel tempo dell’atomismo individuale, in cui il singolo, divelto da ogni radice, è l’unico soggetto degno d’interesse, la famiglia è stata sempre più considerata dal potere pubblico appena un insieme di individui ed un peso da gestire. Le sue competenze sono state sempre più trasferite nell’ambito del welfare, ed i politici migliori hanno visto in essa la povera cenerentola del nostro tempo a cui elargire elemosine per la sua sopravvivenza. I risultati li indicano i numeri dell’ISTAT: siamo un popolo di vecchi.

Eppure, sappiamo che l’ISEE è assolutamente punitivo per chi ancora si azzarda a fare figli. Sappiamo che il fisco e le bollette non tengono conto della composizione delle famiglie. Che si aspetta ad intervenire? È così utopistico immaginare che la valutazione di impatto familiare presieda ad ogni valutazione legislativa o amministrativa, soprattutto di ordine contributivo? Ci vuole tanto a capire che il futuro (anche fisico) della società si gioca innanzitutto nelle famiglie e che la scelta più ovvia e prioritaria sia quella di investire su di esse? E ciò non in nome di realtà idilliache e fiabesche ma proprio per quel sano realismo che deve impregnare la politica e la vita.

Ma oggi l’attenzione dei media e dei nemici della realtà è tutta orientata al nome da dare ai figli degli omosessuali concepiti all’estero con l’utero in affitto, o al nome con cui i ragazzi dall’incerta identità sessuale vogliono essere chiamati a scuola. Il dibattito si fa caldo sulle visioni ideologiche a tutto scapito dei problemi reali.

Saprà il centrodestra impegnarsi in questa sfida epocale e vincerla? Oppure finanzierà col denaro pubblico i cambiamenti di sesso, si piegherà alla dittatura del relativismo e si accontenterà di un conformismo al politicamente corretto appena un po’ più moderato di quello della sinistra? Un peso determinante in tale scelta potrebbe averlo il mondo cattolico se ricordasse di essere il sale della terra e la luce del mondo, promuovendo ed accompagnando proposte politiche e culturali in tal senso.

*Articolo del 03-04-2023 tratto dal sito “Il cammino dei tre sentieri”

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