La questione dell’orario della celebrazione della Santa Messa di mezzanotte, nella solennità del Natale del Signore, sta animando il dibattito all’interno dell’opinione pubblica. Ora, mentre nel Vetus Ordo si parla espressamente di Messa della mezzanotte, nel Novus Ordo, introdotto nel 1970 con l’entrata in vigore del Messale di Papa Paolo VI a seguito della riforma liturgica, si distinguono quattro tipologie di celebrazione: 1) la Messa vespertina del 24 dicembre (considerata la prima Messa di Natale); 2) la Messa della notte; 3) la Messa dell’aurora; 4) la Messa del giorno.

Ora, è evidente che la Messa della notte, secondo il nuovo rito, deve essere celebrata successivamente a quella vespertina (con la quale inizia il Tempo liturgico del Natale), ossia tra il tramonto del sole e l’alba.

L’Accordo di Villa Madama del 1984 (Accordo di revisione del Concordato Lateranense del 1929), recepito nell’ordinamento interno con la legge ordinaria dello Stato n. 121/1985, nell’art. 2, comma 1, attribuisce alla Chiesa (e non alla CEI) la disciplina del pubblico esercizio del culto, escludendo qualunque intervento legislativo o amministrativo da parte dello Stato.

Pertanto, non solo sarebbe viziata di incostituzionalità una disposizione normativa adottata unilateralmente all’interno di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore (DPCM) o di un atto normativo avente forza di legge, ma anche una che rimandi ad uno specifico protocollo tra CEI (che, in virtù del Concordato, non ha alcun ruolo) e Governo, dal momento che, in questo secondo caso, la decisione dell’orario costituirebbe il frutto dell’incontro di due diverse volontà.

L’art. 2, comma 1, della legge n. 121/1985 esclude sia la prima, sia la seconda ipotesi. La Repubblica, infatti, ha riconosciuto unicamente alla Chiesa Cattolica, quale ordinamento giuridico indipendente e sovrano (art. 7, comma 1, della Costituzione repubblicana), la piena ed assoluta libertà di organizzare e disciplinare il pubblico esercizio del santo sacrificio. La legge n. 121/1985, che contiene l’ordine di esecuzione e l’autorizzazione alla ratifica del Concordato revisionato, funge, dunque, da «parametro interposto» per cui la sua violazione comporta indirettamente il contrasto con il comma 2 dell’art. 7 del Testo fondamentale, in base al quale i rapporti tra lo Stato e la Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi (c.d. costituzionalizzazione del principio concordatario), nonché con l’art. 19 sulla libertà religiosa.

A sua volta la Chiesa, restando fermo il terzo comandamento che impone l’obbligo di santificare realmente le feste, non potrebbe né sospendere, né impedire la partecipazione alla liturgia pubblica (secondo i canoni 834 e 837 del Codex iuris canonici del 1983) poiché, in caso contrario, eluderebbe una norma di diritto divino.

In conclusione, quindi, non è una questione di «semplice orario», ma di libertà di azione della Chiesa alla quale ha rinunciato oramai da troppo tempo.

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