Dare una mano di vernice ad una vecchia chiatta e farla sembrare nuova, in questo si traduce il continuo rimpasto, di governo in governo, in questa era di servilismo che dura da settantacinque anni.

Fronti alte ovunque, figli e figlie dello stesso padre che, a forza di amanti, ha popolato il Parlamento italiano di suoi discendenti.

Questa è la verità del palazzo… Nel palazzo!

La palafitta, abitata dagli scansafatiche che si sono arrogati il diritto di controllare lo Stato, è scossa.

Qualcosa rode i pali, immersi nel mare stretto, sempre più ridotto ad una pozza salata, in cui prigionieri s’affollano e s’affannano fin dove la fame li spinge, azzannando qualsiasi cosa finisca sotto i denti.

Quando non ci sono più pesci, vanno bene anche i legni!

I sostegni vacillano, i piani – alti – tremano e tramano per salvarsi.

Sin dall’inizio fui riluttante verso la miserabile banda di dilettanti di partito, depravati criminali che stanno pensando a riempirsi le tasche e non al bene della Nazione.

Chi non lo capisce o è interdetto o è complice!

Che siano pronti a sacrificare il nostro Paese per questo, lasciandolo affondare, li rende meritevoli delle punizioni più estreme.

Il beneficio degli scippatori corrisponde al sacrificio delle classi più povere e dei lavoratori, finanche alla morte della Patria che, ormai di nuovo in travaglio, spinge e spinge…

La Grande Madre agonizzante partorisce piccole belve affamate che crescono, giorno dopo giorno, sopravvivendo alla caccia dei predoni, ai fratelli e alle sorelle impegnate ad annaspare nella pozzanghera.

I nuovi figli sopravvivono ai predatori naturali, ovvero, i politici o, meglio, una particolare razza di politicanti da marcato, che ha fatto di ciò che era un’arte uno squallido compromesso.

Gli urlatori della propaganda svendono pezzi importanti della nostra Italia agli sciacalli del mare, venuti a banchettare ancor prima che il Grande Animale sia morto.

Sguazzano attorno alla carcassa ancora viva nella speranza di accaparrarsi il pezzo migliore.

Sembra che il destino della Grande Madre sia scritto e sia giunto all’ultima pagina, all’ultimo respiro prima della lunga apnea.

I predoni colpiscono con fiocine e arpioni, mentre immondi uccelli ripugnanti calano dall’alto, tra spruzzi d’acqua e schizzi di sangue, affinché non sia sprecato un solo boccone…

La Grande Madre, però, non è ancora morta.

Dare per finito ciò che è ancora in corso è una mossa azzardata.

“Ancora una volta nella mischia, nell’ultima vera battaglia che affronterò.

Vivi e muori in questo giorno. Vivi e muori in questo giorno.”

Il Leviatano non è una bestia qualunque, ma è il Re delle fiere più superbe.

Un colpo di coda, un morso e un altro ed uno ancora!

La Grande Madre reagisce, combatte ed il suo grido si leva altissimo.

Il dolore, acuto quanto un ululato, diventa adunata e i figli, chiamati a raccolta, si gettano all’attacco.

La battaglia è desiderata con passione dalla Nazione Intera e combattuta tra nuove correnti che si riversano a ondate sui predoni. 

A far pensieri troppo profondi ci si rimane invischiati…

Cavalchiamo sulla riva del tempo tra l’onda e la risacca!

È un rischio estremo per chiunque vi si cimenti, è vero, ma è un pericolo che dobbiamo correre per la responsabilità che ci siamo assunti.

La tela è pronta e se ritrarre la speranza e darle un senso, significa togliere un peschereccio dall’orizzonte e far posto a un caccia torpediniere da guerra, allora fuori la tela, fuori il pennello!

La Patria chiama a raccolta: chi non è con noi non è sordo, ma vigliacco…

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