«Prendiamo atto che l’Europa sta cambiando come volevamo noi, la Banca Centrale Europea sta facendo finalmente quello che chiedevamo noi. Il Recovery Fund è completamente diverso dalla logica del Mes. Grazie alle pressioni dei sovranisti. L’Europa sta cambiando lentamente, noi seguiamo l’evoluzione e orgogliosamente rimaniamo quello che siamo […] Il mondo cambia, e cambiamo pure noi. C’è una sensibilità ambientale che non c’era anni fa. Eravamo per uscire dall’Euro ma, ora che siamo dentro, uscire è complicato. Dobbiamo fare gli interessi nazionali in Europa».

Così Matteo Salvini, ovvero colui che aveva rivoluzionato la Lega di Bossi a colpi di retorica anti-europeista e anti-euro.

Per carità, ci rendiamo tutti conto delle esigenze comunicative di un grande partito di massa, e ancor di più comprendiamo che con Next Generation EU si potrebbe aprire una fase nuova in Europa, cioè il punto di non-ritorno del fine ultimo del processo dell’UE, ovvero un’unione fiscale e politica e la costituzione di uno Stato federale europeo.

In questo momento, è comprensibile pure un certo senso di disfatta, per di più anche di fronte alla tanto granitica quanto stolida difesa da parte delle élite politiche ed economiche italiane di un sistema ostile ai nostri stessi interessi.

Tuttavia bisogna fare due considerazioni: la prima, se sia veramente finita, se di fronte all’Unione Europea sia veramente necessario gettare la spugna; la seconda, circa l’universo mentale verso il quale si dovrebbe approdare nel caso di una resa all’integrazione europea.

Circa il primo quesito, se sia il tempo di gettare la spugna e abbandonarsi al flusso europeista, bisogna pur riconoscere che una storia è veramente finita solamente all’epilogo e non al suo debutto.

L’epilogo del federalismo europeo non potrà che essere la conclamata istituzione del superstato europeo, con un solo presidente eletto in tutta l’Unione, una sola politica estera, una sola politica di bilancio, un solo esercito e, ovviamente, una sola moneta. Fino a quando non accadrà, e anche prescindendo dalle motivazioni ideali o di principio che potrebbero portare ad avversare il progetto mondialista della UE, dovrebbe essere lecito continuare a sperare e ad adoperarsi per resistere ed agire contro il processo di integrazione-dissoluzione delle nostre nazioni.

Resta la seconda considerazione. Ammettiamo pure di alzare la bandiera bianca. Ammettiamo di dover ammainare definitivamente il Tricolore a favore del drappo blu della UE.

A questo punto che senso avrebbe dire ‘restiamo quello che siamo’ , ‘fare gli interessi nazionali in Europa’?

Forse non si capisce che, se l’UE avrà successo, non esisteranno più gli stati-nazione europei, ergo non esisteranno più interessi nazionali da difendere.

Voler entrare in un’ottica di “Europa Nazione” può anche essere legittimo, ma per farlo bisognerebbe avere subito una coscienza chiara e distinta, altrimenti ci si ridurrà ad essere quanto era la Lega di Bossi all’interno dello Stato Italiano, ovvero un chiassoso partito di rappresentanza regionale all’interno di un organismo più vasto.

Così il sovranismo, rinunciatario e accomodante, si ritroverebbe, nazione per nazione, semplicemente a sostenere diverse istanze “nazionali”, ovvero meramente regionali rispetto all’apparato europeo, lasciando gioco facile al campo avverso per imperare sulle divisioni dei frazionamenti locali.

Inoltre, per poter difendere una battaglia da “Europa Nazione”, a meno che non lo si voglia fare per puro disfattismo, si dovrebbe quantomeno proporre un orizzonte ideale che dovrebbe vivificare questa nuova, grande nazione.

La millenaria civiltà europea, la sua grande tradizione cristiana (che è più di un rosario sbandierato in piazza) potrebbe certamente fare in questo caso buon gioco; tuttavia, pensare che oggi un’Europa unita sotto Bruxelles possa veramente far a meno della sua melassa di pseudovalori liberal, che dei principi della tradizione cristiana dell’Europa sono l’antitesi, resta al momento una fola, una vaga utopia, cosa ancor ben più difficile da pensare di una crisi di un sistema monetario disfunzionante.

La Lega 3.0 che va così definendosi, con Salvini sempre alla ribalta ma con Giorgetti alla regia, sarà una Lega che va avanti per tornare al passato, che si appresta a fare il partito regionalista dell’Italia sotto il governo di Bruxelles, come la Lega Nord era il partito regionalista della Padania sotto il governo di Roma. Però con la singolare differenza che, mentre la Lega di Bossi era il Nord, prospero e produttivo rispetto al centralismo di Roma, la Lega di Giorgetti si ripromette invece di essere il Sud, stagnante e assistito, rispetto al centralismo di Bruxelles.

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