Il Governo della Repubblica, con il decreto-legge 07 ottobre 2020, n. 125, ha introdotto nell’art. 1, comma 2, della legge ordinaria dello Stato n.35/2020 (c.d. legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19) la lettera hh-bis), disponendo l’obbligo di avere sempre con sé un dispositivo di protezione delle vie respiratorie, nonché l’obbligo di indossarlo nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private ed in tutti i luoghi all’aperto, fatte salve alcune eccezioni.

Il DPCM 13 ottobre 2020, nell’art. 1, comma 1, ha ripreso la disposizione di cui sopra, specificando che all’obbligo è possibile derogare nei casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi e per le circostanze di fatto, sia garantita la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi e con salvezza dei protocolli e delle linee guida anti-contagio per le attività economiche, produttive, amministrative e sociali.

Due osservazioni critiche:

1) chi valuta le caratteristiche dei luoghi e le circostanze di fatto? In assenza di una tipizzazione, non si rischia di lasciare un ampio potere discrezionale a coloro i quali (forze dell’ordine in primis) devono verificare il rispetto dell’obbligo e le sue deroghe?

2) al di là del fatto che il decreto-legge n. 125/2020 contiene due diverse formulazioni della lettera h-bis, mi pare evidente come l’utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie venga ritenuto un vero e proprio trattamento sanitario obbligatorio non coercitivo, funzionale a tutelare la dimensione collettiva della salute, di cui all’art. 32, comma 1, della Costituzione vigente, e a legittimare il sacrificio della sua dimensione individuale (sent. n. 307/1990 Corte cost.).

Tuttavia, lo stesso Testo fondamentale stabilisce come questi trattamenti non possano in alcun modo violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. In altri termini, il rilievo costituzionale della salute quale interesse della collettività se, da un lato, per ragioni solidaristiche, è idoneo a comportare dei sacrifici, dall’altro non può incidere negativamente sulla salute delle persone cui viene imposto l’obbligo (sent. n. 118/1996 Corte cost.), ossia porre in essere conseguenze non fauste per lo status psico-fisico delle stesse, salvo quelle tollerabili in ragione della loro «temporaneità e scarsa entità» (sent. n. 307/1990 Corte cost.).

Ora, sul punto, l’uso prolungato dei dispositivi di protezione delle vie aeree può, secondo alcuni studi, provocare non solo una riduzione dell’ossigenazione, ma anche emicrania, aumento dell’insufficienza respiratoria, ipercapnia, ovvero l’aumento dell’anidride carbonica nel sangue perché viene inspirata nuovamente, ipossia e patologie che possono portare ad altre malattie più gravi, come, ad esempio, il crollo delle difese immunitarie e una situazione potenzialmente favorevole allo sviluppo di neoplasie.

Certo: molto dipende ovviamente dal tipo di «mascherina» e dalla durata di utilizzo, ma è chiaro come il Governo prima e il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore poi, abbiano assunto acriticamente una determinata posizione, dimenticando il noto principio popperiano della falsificabilità della scienza. Per questo motivo, forse, l’obbligatorietà doveva essere puntualmente prescritta in casi ben precisi e determinati, evitandone una previsione quasi generalizzata.

Sarebbe interessante, qualora la Corte costituzionale fosse investita in via incidentale della questione di legittimità sul decreto-legge n. 125/2020 (rectius: sulla legge di conversione), che esercitasse i suoi poteri istruttori (Cfr. E. MALFATTI), diversamente da quanto accaduto con la sentenza n. 5/2018 in materia di obbligo vaccinale.

Da ultimo: un decreto-legge può davvero disporre un trattamento sanitario obbligatorio? Il comma 2 dell’art. 32 della Costituzione puntualizza come questo richieda «disposizioni di legge». Siamo in presenza, ad avviso di chi scrive, di una riserva di legge formale che esclude gli atti normativi aventi forza di legge, tra i quali rientrano a pieno titolo anche i decreti-legge.

Infatti, la massima e più rigorosa tutela della libertà della persona umana e della sua dignità può essere garantita solo da uno strumento come la legge formale del Parlamento, in quanto solo essa garantisce un procedimento decisionale in cui l’adeguata rappresentazione e ponderazione degli interessi coinvolti viene assicurata dalla quantità e dalla qualità degli attori politici decidenti e dall’articolazione delle sedi di costruzione della decisione, nonché ampiamente controllata, sia a livello di opinione pubblica nel corso del processo decisionale, sia dall’attività presidenziale in sede di promulgazione. Detto diversamente, solo una legge ordinaria dello Stato, proveniente dall’organo direttamente rappresentativo della volontà popolare nel suo complesso, è caratterizzata da un procedimento pubblico e dialettico nell’ambito del quale trovano spazio anche le minoranze parlamentari oltre alla maggioranza politica, nel rispetto di quella dialettica tra maggioranza e minoranza che è condizione di possibilità della massima e più rigorosa tutela della libertà dei cittadini, ivi compresi quelli appartenenti a minoranze.

Semplici considerazioni di un povero e semplice costituzionalista di montagna… che vede la realtà diventare utopia e la distopia realtà.

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