Se chiedete alle case farmaceutiche il motivo di prezzi tanto alti, sicuramente risponderanno che la causa è il costo della ricerca e i tempi piuttosto ristretti (venti anni) entro i quali si possono ottenere buoni profitti.

Scaduti due decenni, c’è libertà di utilizzo delle formule e dunque la possibilità per tutti di creare farmaci generici, facendo così crollare il mercato di quelli “originali”.

Il ragionamento pare filare come un treno giapponese, se non fosse per un particolare: la compartecipazione di soggetti pubblici.

Ed è qui che il treno giapponese deraglia (si fa per dire… i treni giapponesi non deragliano nemmeno a farlo di proposito e l’altro anno hanno collezionato otto minuti di ritardo tutti assieme!). Ma lasciamo le sbalorditive ferrovie del Sol Levante e ritorniamo a noi!

Se è vero come è vero che nei Paesi industrializzati i governi sostengono un terzo delle spese per la ricerca farmaceutica (anche in Giappone!), allora gli altissimi prezzi dei farmaci non trovano più giustificazione.

L’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ha chiarito che i brevetti sulle proprietà intellettuali (quelli che interessano pure i farmaci) non possono essere di ostacolo al bene della salute e quindi, se necessario, un Paese può, pur non avendo il permesso dei detentori del brevetto, produrre i farmaci di cui necessita.

Se questa è la bella teoria, vige comunque una brutta pratica e lo dimostra la richiesta (ottobre 2020) di sospensione del trattato sulla protezione della proprietà intellettuale proposta da Sudafrica e lndia.

Un’ottima idea, purtroppo rimasta tale.

Ad onor del vero va detto che il Vaticano, che non sempre su queste pagine abbiamo lodato, si è schierato con i due Paesi e Bergoglio soltanto, negli anni passati, ha ricevuto in tre occasioni i movimenti che si occupano di tali problemi. Stavolta… onore a Lui.

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