Il 3 agosto si è svolta l’inaugurazione del nuovo Ponte San Giorgio, che ha sostituito il vecchio ponte Morandi, crollato il 14 agosto 2018.

La cerimonia, sobria e rispettosa, ha visto i discorsi delle autorità locali e nazionali, oltre che l’omaggio alle vittime. Non una festa, dunque, ma un monito alla riflessione. 

Bisogna dire che quest’opera risulta essere un’anomalia. La necessità di accelerare i tempi ha fatto sì che fossero scavalcati molti scogli burocratici e il grande impegno dei lavoratori ha consentito di riunire la Liguria. 

Termina così, anche se parzialmente, l’incubo del traffico nella città di Genova, provata come tutta Italia da una pandemia e da una gestione dubbia della stessa. 

Ma una volta accettato questo sollievo (definirla felicità è un po’ troppo forse), permane l’amarezza di non avere ancora un colpevole. 

Fermo restando che ci auguriamo che la magistratura possa dare giustizia ai familiari delle vittime, a Genova e all’Italia, e rifiutando ogni giustizialismo a priori, non possiamo non provare rabbia per come sono andate certe cose, al di fuori del cantiere. 

Già il giorno dopo il crollo, i vertici di ASPI erano ad una festa a Cortina. Questo può essere relegato a una grande mancanza di tatto e sensibilità, che non è però paragonabile a quanto è accaduto in seguito. 

Dopo aver promesso per quasi due anni la revoca delle concessioni, il governo ha pensato bene di “riconsegnare” il nuovo ponte ad ASPI. La giustificazione sembra essere la difficoltà di estromettere la società in maniera semplice, con un ping pong di trattative che vedono il governo in difficoltà. Capiamo che vi siano delle procedure da seguire e che certe azioni non debbano rifarsi solo alla pancia della folla inferocita, tuttavia è immediato il paragone con i Decreti sicurezza, introdotti e ora in via di rimozione dopo pochi mesi da parte degli stessi parlamentari che li avevano votati. E possiamo portare anche l’esempio dei vari decreti introdotti durante la quarantena, per far capire che, se vi è la volontà di forzare la mano, il nostro ordinamento lo prevede. 

A nulla vale quindi la scusa addotta dalla maggioranza che ha provato a scaricare sui governi precedenti ogni responsabilità sulla mancata revoca delle concessioni. 

E siccome in Liguria non ci si fa mancare nulla, alla mancanza del ponte si è aggiunta la mancata manutenzione delle gallerie. Ciò ha provocato un’infinito susseguirsi di cantieri, di carreggiate chiuse, di traffico e talvolta di incidenti. Ovviamente, la manutenzione è sacrosanta, ma lo è anche un adeguato piano dei lavori che consenta di impattare al minimo sul traffico e sopratutto che eviti potenziali tragedie (come quelle sfiorate per i pezzi di gallerie che finivano sull’asfalto). 

La triste vicenda della Liguria ci pone quindi davanti ad un quesito: è giusto assegnare ai privati settori strategici per la nostra economia e la nostra società? 

Mentre c’è chi temporeggia o addirittura non sa come muoversi, ci sono 43 anime e altrettante famiglie che reclamano giustizia, mentre un’intera Nazione vuole ripartire. 

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