Potrebbe sembrare quasi una banalità, perché è dal XIX secolo che i nostri uomini in Africa, ogni tanto, ci lasciano la pelle. Saltiamo il periodo pre- e post-coloniale e quello della II Guerra Mondiale, e atterriamo nel 1961, quando 12 nostri aviatori furono massacrati a Kindu, per poi andare al periodo 1993-94, quando contammo i morti in terra somala e in terra mozambicana. Ricordiamoli:

  • il 13 maggio 1993 a Mogadiscio, colpito accidentalmente durante il turno di guardia, muore il Paracadutista Giovanni Strambelli; 
  • il 2 luglio del 1993 a Mogadiscio durante la battaglia del “pastificio” cadono in battaglia il Paracadutista Pasquale Baccaro, il Cavalleggero Andrea Millevoi e l’Incursore Stefano Paolicchi;
  • il 3 agosto 1993 a Mogadiscio cade in un conflitto a fuoco il Paracadutista Gionata Mancinelli;
  • il 15 settembre 1993 a Mogadiscio cadono, sotto il fuoco dei cecchini somali, i Paracadutisti Giorgio Righetti e Rossano Visioli;
  • il 12 novembre 1993 a Balad, cade in un’imboscata il funzionario del S.I.S.Mi. Vincenzo Li Causi;
  • il 25 novembre 1993 nel Corridoio di Beirat (Mozambico) a seguito d’incidente di volo con aereo SM 1019 dell’Aviazione dell’Esercito cadono Fabio Montagna e Salvatore Stabile, del 20º gr. Sqd. Aves “Andromeda”;
  • il 9 dicembre 1993, a Mogadiscio, a seguito di omicidio cade, all’interno del “Poliambulatorio Italia”, la Crocerossina Maria Cristina Luinetti;
  • il 30 dicembre, 1993 sulla Strada Imperiale Afgoi-Balad, il Cavalleggero Tommaso Carozza a bordo del suo Centauro rimane vittima di un incidente stradale;
  • Il 6 febbraio 1994 sulla strada Balad-Mogadiscio cade in un’imboscata il Fante Giulio Ruzzi del 66º RGT Fanteria Meccanizzata e rimane ferito il Bersagliere Alessandro Giardina, che morirà poi, in Italia, a causa delle complicazioni dovute alla ferita riportata.

Lunedì 22 febraio 2021, di mattina, in terra congolese di Kivu, sono caduti in un’imboscata altri due nostri compatrioti: l’Ambasciatore d’Italia Luca Attanasio e il Carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci.

Mi si perdonerà se spendo alcune parole per ricordare principalmente Luca Attanasio, Ambasciatore d’Italia (lo scandisco con Patrio orgoglio) e mio amico.

Luca era un giovane diplomatico quando nel 2010 ha assunto l’incarico di Console Generale d’Italia a Casablanca (Marocco) e fu in quella sede e in quella funzione (delicata) che lo conobbi, simpatizzammo e diventammo amici.

Lo ricordo entusiasta dell’esperienza che si apprestava a fare a Casablanca, malgrado il compito fosse arduo per un giovane che aveva raccolto il testimone di un predecessore sperimentato e di elevato livello, un diplomatico che aveva svolto un ottimo lavoro.

Ebbene, il nuovo Console, l’amico Luca, forte della sua giovinezza, della sua serietà e preparazione, ma anche della sua fede, seppe mantenere alta l’asticella dell’efficienza e della credibilità della nostra rappresentanza all’estero, riscuotendo il plauso sia della società marocchina, sia della comunità italiana.

In quel di Casablanca si innamorò di una ragazza, Zakia, con la quale condivideva uno spiccato spirito caritatevole e dopo qualche anno di fidanzamento si sposarono, in Italia e poi in Marocco, con una cerimonia marocchina. Ricordo ancora un episodio di quella sera: Luca, elegante nel suo smoking, mi si avvicinò e mi chiese con fare complice: «Che ne dici delle mie scarpe?» Gliele guardai e gli dissi: «Sì, sono belle… chissà quanto avrai speso!?»… risposta sbagliatisssima la mia, lo stavo per scoprire perché lui di rimando: «Macché, le ho comperate questo pomeriggio a Derb Ghallef… belle vero?» (Derb Ghallef è un mercatino popolare di Casablanca dove si trova di tutto a prezzi stracciati).

So che ad Abouja (Nigeria) dove fu destinato dopo Casablanca e poi in Congo, fino al momento in cui, pur non in armi, è caduto sul campo del dovere e dell’onore, ha tenuto alta la credibilità dell’Italia; un’Italia che spesso non merita uomini così: capaci, onesti, generosi, e persino coraggiosi; di quel coraggio di chi crede, di chi crede in DIO, nella Patria e nella Famiglia.

Quel che è successo si ripeterà ancora in chissà quale altra parte del mondo e sempre ci sarà la responsabilità di qualcuno, oltre che del caso, ma, purtroppo, chi va in certe zone mette in conto quel che può accadere, e l’Ambasciatore d’Italia Luca Attanasio lo aveva messo in conto. Ma Luca non era un pavido, tutto scrivania e burocrazia, e oltre ad essere un giovane diplomatico entusiasta del suo lavoro, era mosso da una genuino senso di carità che condivideva con sua moglie, Zakia, con la quale ha messo al mondo, per l’Italia e per il Marocco, per Dio e per la fede, tre meravigliose bambine. Le quali, se buon sangue non mente, diventeranno donne che sapranno onorare l’esempio del padre.   

La morte di Luca è una tragedia per i suoi affetti e una perdita per l’Italia, perché era un giovane diplomatico destinato a far carriera, ma soprattutto a rendere i migliori servigi alla nostra politica estera.

Non ho avuto l’onore di conoscere personalmente il Carabiniere Vittorio Iacovacci, ma ho conosciuto altri suoi commilitoni della sua stessa stoffa e so di poterlo onorare per la professionalità, il coraggio e il senso del dovere. So che era anche lui legato a Luca da un sentimento di amicizia, e come si dice: «chi si piglia si assomiglia». Pertanto, anche a te, caro Vittorio, una maschia stretta di mano e un A DIO! Perché è lassù, dal Padre nostro che sta nei cieli, che ci ritroveremo da uomini di buona fede.

Un diplomatico di valore e un Carabiniere di valore sono volati in cielo, questa è la verità. Tutto il resto, specie le chiacchiere di «esperti del giorno dopo», inquinano solo la mente.

Onore ai nostri due caduti, e basta così.

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