“Noi abbiamo esportato la mafia”, è il grido di battaglia di chi cerca in tutti i modi di giustificare l’immigrazione, attaccando chi mostra come, con l’accoglienza, il fenomeno criminale sia destinato ad aumentare. Questo perché il buonismo interessato sembra non conoscere le principali operazioni aritmetiche, le quali ci mostrano che i crimini stranieri non elidono quelli nostrani, ma si aggiungono ad essi.

Detto ciò, l’approccio utilizzato dai fautori del “restiamo umani”, che assegna all’italianità l’origine della mafia, è sintomo di quel sentimento antinazionale tipico della sinistra, che dal dopoguerra è andato accentuandosi.

Italia=Mafia, dunque. Ma è proprio così?

Sicuramente la letteratura, il cinema e la televisione hanno contribuito ad alimentare questo mito, ottenendo spesso l’effetto opposto a quello ricercato di denuncia, in particolar modo tra i giovani. Anche nella sfera comica l’italiano medio è visto o come il pizzaiolo o come il mafioso, anche se noi italiani, a differenza di altri popoli che si offendono in nome del politicamente corretto, sappiamo riderci su (a volte anche un po’ troppo, pervasi da un complesso di inferiorità che non dovrebbe appartenerci).

Da dove arriva la mafia? Le origini del termine sono incerte, potrebbe aver avuto origine nel territorio nazionale, ma ci sono anche ipotesi che lo vedono come un vocabolo di derivazione spagnola, se non addirittura araba, due delle principali culture che dominarono il Mezzogiorno italiano. Quel che è certo è che la mafia come la conosciamo è una deviazione del feudalesimo, che si è protratto oltre il suo tempo nel sud Italia. Signorotti locali esercitavano il potere sul proprio territorio al di fuori delle leggi nazionali, attraverso corruzione, minacce, violenze e controllo sulla società e sull’economia, oltre che del crimine; questo avviene attraverso un schiera di “sgherri”, spesso avanzi di galera, pronti a qualsiasi nefandezza pur di essere pagati, ma tenuti uniti attraverso un particolare “codice d’onore”.
Questa prima definizione ci riporta sui banchi di scuola, perché non può non venirci in mente che una situazione praticamente identica è descritta in un romanzo, ambientato però in Lombardia, in particolare su un ramo del Lago di Como.

Attraverso i suoi sgherri, chiamati i bravi, il “boss” locale, spagnolo, utilizza la forza bruta per mantenere il potere anche sulla vita personale degli abitanti del luogo, non temendo nemmeno l’autorità della Chiesa. Parliamo ovviamente di Don Rodrigo, antagonista principale del manzoniano “I promessi sposi”.

Può quindi la mafia aver origini iberiche? Sicuramente l’organizzazione ne è stata fortemente influenzata ed ha trovato terreno fertile nel sud borbonico, sopravvivendo all’unità d’Italia e tornando in auge dopo un intervallo di circa 20 anni, tra le due guerre mondiali. Ma questa è un’altra storia.

Quel che possiamo affermare è che esiste una mafia italiana (che a seconda del luogo cambia nome) ma che la criminalità organizzata non ha un’origine univoca. Le mafie mondiali si sono sviluppate autonomamente, ciascuna coi suoi tratti distintivi.

Troviamo la mafia irlandese, la mafia russa, la Yakuza giapponese, le triadi cinesi, la mafia ebraica (raccontata anche da Leone in “C’era una volta in America“), tanto per citare quelle più famose. Una particolare attenzione va data alla Francia, che da sempre punta il dito contro l’Italia per via del fenomeno mafioso. Anche oltralpe esiste il fenomeno mafioso, i famosi Milieu, in particolare nella zona di Marsiglia. Una delle sue attività consiste nel gestire il traffico di droga proveniente dalle Americhe, la cosiddetta “French Connection”, che ha visto mafiosi marsigliesi accordarsi con le criminalità organizzate di tutta Europa, Italia compresa. E anche in Francia si è assistito al sacrificio di un coraggioso magistrato, Pierre Michel, che diede un duro colpo alla mafia nel suo Paese, tanto che per via del suo impegno e della sua dolorosa fine è stato da taluni definito “il Falcone francese”.

E infine, è nostro triste dovere citare anche la famigerata mafia nigeriana, sulla quale, in ambienti antirazzisti (o per meglio dire “meticcisti”), vige un alone di omertà e di negazione che nulla hanno da invidiare a quelle verso la mafia nostrana. La cosa che più addolora è veder accettare il binomio Italia-Mafia non da parte di stranieri – che come abbiamo visto, spesso è meglio che tacciano – ma dal nostro stesso popolo.2

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