Leggi la 1^ parte dell’approfondimento sul golpe cileno

La lotta con l’episcopato cileno filo-marxista

Allende era supportato elettoralmente da gran parte dell’episcopato cileno, che a partire dal Concilio Vaticano II era diventato più che progressista e inclinava alla teologia della liberazione. Quando Allende vinse le elezioni del 4 settembre 1970, sconfiggendo per poche decine di migliaia di voti l’ex Presidente democristiano Eduardo Frei, “le prime felicitazioni furono quelle dell’arcivescovo di Santiago, Raul Silva Henriquez” (M. Spataro, Pinochet. Le “scomode” verità, Roma, Il Settimo Sigillo, 2003, p. 531).

Inoltre, quando Fidel Castro si recò a Santiago del Cile, nel novembre del 1971, monsignor Silva Henriquez volle rendergli omaggio di persona andando ad accoglierlo all’aeroporto.

Ma sul finire del 1971 le cose già si mettevano male per Allende e iniziavano in Cile una serie di scioperi e di sfilate da parte degli autotrasportatori e delle massaie, che paralizzavano il Paese. Tuttavia monsignor Silva Henriquez sostenne egualmente Allende e il movimento “Cristiani per il Socialismo”. Nell’ottobre del 1972, quando la situazione per Allende si faceva sempre più drammatica, una delegazione episcopale fu ricevuta da lui e intrattenuta per oltre 2 ore nel palazzo presidenziale. Nel febbraio del 1973, sei mesi prima della caduta di Allende, il card. Silva Henriquez perorò pubblicamente, parlando ai fedeli, la causa socialista e di Allende.

Quando, dopo l’11 settembre del 1973, il potere passò nelle mani della giunta militare capeggiata da Pinochet, la parte progressista e catto/comunista dell’episcopato cileno, capeggiata da Silva Henriquez, passò all’opposizione apertamente. Il giornalista Italo Moretti ha definito il card. Silva Henriquez “il vero centro dell’opposizione” (Programma Correva l’anno, 2 gennaio 2003, Rai3).

Mosca, Cuba e il Cile

L’ascesa al potere di Allende non fu solo opera dell’elettorato cileno, ma fu sostenuta da Mosca attraverso Cuba e fu contrastata dagli Usa attraverso la CIA. Certamente la Cia ha svolto il suo ruolo nel golpe del 1973, ma non sarebbe esatto dire che essa ha fatto tutto. Non solo la giunta militare cilena, ma anche la maggior parte della popolazione non ne poteva più dello stato di disordine e di miseria in cui Allende, con le sue riforme di esproprio e di nazionalizzazione, aveva sprofondato l’economia del Paese.

Un’altra accusa mossa a Pinochet è quella di essere stato un burattino nelle mani della CIA e un amico inveterato dei padri dei neo-conservatori americani (Nixon, la Banca Mondiale…) e della signora Thatcher. Certamente, il rapporto di amicizia tra la Thatcher e Pinochet c’è stato, ma ridurre Pinochet ad un neo-conservatore americanista o britannico è esagerato. Egli ha dovuto svolgere una politica di privatizzazione dei beni del Cile dopo quella forsennata di espropri e di nazionalizzazioni portata avanti da Allende, come vedremo in séguito, e quindi ha dovuto avere rapporti con alcuni personaggi (v. Milton Friedman) che erano non totalmente in linea con il suo modo di pensare da uomo d’ordine, cattolico tradizionalista e preconciliare. Certamente, anche Pinochet ha avuto, come ogni uomo, dei difetti e dei limiti, ma non si può disconoscere il ruolo che ha giocato, in prima linea, nella restaurazione dell’ordine e del benessere della sua Patria. Le obiezioni circa la sua appartenenza alla massoneria e il suo filo neo-conservatorismo, come abbiamo visto in parte nel primo articolo, non stanno in piedi.

Mario Spataro dimostra come “Allende fu uno strumento [di Mosca e di Cuba] per la sperimentazione in un Paese occidentale di un nuovo sistema di conquista del potere: un sistema alternativo a quello leninista basato sulla rivoluzione armata e sulla guerriglia” (cit., p. 80). Allende ha vinto le elezioni, anche se per poche decine di migliaia di voti, ma poi gli è mancato il consenso delle masse popolari per poter governare e quindi è caduto. Da questa esperienza fallimentare è nato l’euro-comunismo di Enrico Berlinguer, che rifacendosi a Gramsci metteva in risalto come nei Paesi cattolici il comunismo, per restare al potere (governodirezione, conquista dello Stato), anche se lo ha conquistato con le elezioni democratiche, deve avere il dominio o l’egemoniaossia la conquista della società civile/culturale tramite l’appoggio dei cristiani progressisti e il consenso della classe borghese, della cultura nazionale, dei media, della scuole, delle università, della magistratura e dell’esercito. Non basta governare, bisogna avere il consenso, e questo Allende non lo aveva, dominava lo Stato, ma non dirigeva la società civile e culturale, aveva un’obbedienza puramente esteriore tramite la dittatura pratica, ma non il consenso. Mosca e Cuba non conoscevano la teoria gramsciana, che ha informato la politica del socialismo europeo degli anni Settanta/Ottanta grazie all’acume della scuola comunista italiana di Togliatti-Berlinguer, ed è anche per questo che Allende è andato verso la rovina.

Spataro spiega che “il primo passo di Allende, quello della conquista democratica del potere, rispecchiò fedelmente il nuovo modello sperimentale dettato da Mosca, ma il passo immediatamente successivo fu [come voleva Mosca a differenza di Gramsci] il ritorno al vecchio modello elaborato da Lenin e da Trotzky” (cit., p. 82).

Questo modello di governo sprofondò, tra il settembre 1970 e il settembre 1973, il Cile nel caos e nella miseria (come era successo in Russia sùbito dopo l’ottobre del 1917), accompagnati dal terrore e dalla violenza, dai soprusi e dagli espropri o nazionalizzazioni “proletarie”, che portarono la popolazione alla ribellione verso il potere di Allende e l’esercito all’intervento per destituire un tiranno, sfiduciato dal Senato e dal Parlamento (come vedremo in seguito), il quale non voleva sentir ragioni e continuava a dettar legge.

La riforma economica marxista di Allende

Lo Stato iniziò subito dopo la vincita delle elezioni la riforma, o meglio la distruzione, dell’economia del Cile. Nel 1971 il ministro delle Finanze, Pedro Vuskovic, annunciò il programma governativo del pieno controllo dell’economia del Paese da parte dello Stato, parlando di “abolizione della proprietà privata” (cit., p. 84).

Certamente “vi fu una manovra statunitense volta a nuocere la stabilità economica del Cile di Allende, ma essa fu poca cosa se paragonata con le conseguenze degli errori dello stesso Allende” (cit., p. 85).

Infatti, conti alla mano, il risultato del governo di Allende è stato catastrofico: “egli aveva ereditato dal precedente governo riserve valutarie per 350 milioni di dollari, ma in meno di 2 anni (giugno 1972) riuscì a generare un deficit di 650 milioni di dollari. […]. Il debito estero, infine, raggiunse e superò nel 1972 l’astronomica cifra di 3 miliardi e mezzo di dollari. L’esperienza marxista fu, dunque, un completo fallimento, che si manifestò principalmente nei tre settori nei quali più attivamente si impegnarono Allende e tutta l’amministrazione governativa: quello della repressione politica e civile, quello dell’economia e quello delle riforme sociali” (cit., p. 93).

La repressione politico/sociale

Varie furono le forme di repressione che Allende fece provare ai cittadini cileni nell’arco dei suoi tre anni di governo, le principali sono: 1°) la limitazione della libertà di stampa, mediante un totale controllo dello Stato su ogni forma d’informazione pubblica, vietando il diritto di sciopero degli addetti alle comunicazioni sociali; 2°) il tentativo da far dirigere dai sindacati marxisti gli organi d’informazione non allineati; tale tentativo incontrò subito la ferma reazione delle maestranze, che buttarono letteralmente fuori i sindacalisti venuti per controllarli.

Lo sfascio dell’economia

Mediante 1°) una forsennata politica di statalizzazione e di espropriazione delle industrie, delle aziende agricole, di quelle commerciali e della grande proprietà privata Allende fece passare la produzione del Cile da mani esperte nelle mani totalmente impreparate di politici, spesso corrotti o interessati; 2°) affidò il ministero del Lavoro e la Presidenza del sindacato più importante ad un solo politico (comunista); rendendo vano ogni tentativo di rivendicazione da parte dei lavoratori e dei piccoli proprietari, cercando di impedire ogni tipo di sciopero; 3°) espropriò e nazionalizzò la ricchezza privata del Cile, arrivando a controllare il 90% delle miniere, l’85% delle banche, l’84% delle imprese edili, l’80% della grande industria, il 75% delle aziende agricole, il 52% delle fabbriche medio/piccole (cit., p. 104); 4°) organizzò delle agitazioni sindacali bene orchestrate per piegare le fabbriche riottose al potere governativo. Tutto ciò non poteva non portare alla rovina economico/finanziaria il Paese. Infatti, sin da qualche mese dopo la riforma collettivista di Allende, il 77% della classe media aveva difficoltà ad acquistare i mezzi di prima necessità.

La riforma agraria

Già nel 1967 l’ex Presidente cileno, il democristiano Eduardo Frei (dietro consiglio del cardinal Silva Henriquez) iniziò una non felice riforma agraria, che portò all’esproprio di 1.400 aziende agricole, ma non distrusse l’economia cilena. A far ciò ci pensò Allende che espropriò 5.800 fattorie e ne fece occupare 2.000 dai terroristi del MIR e da vari agitatori politici (paragonabili ai nostri “centri sociali”), che arrivavano addirittura a compiere attentati terroristici contro i proprietari non-marxisti cileni.

Fidel Castro definì la riforma di Allende “più radicale di quella di Cuba” (cit., p. 113), di modo che “quando Allende fu deposto il Cile aveva riserve di grano per appena soli 4 giorni e riserve di valuta sufficienti ad importare grano dall’estero per soli 2 giorni. Infatti la produzione del grano era stata dimezzata dal 1971 al 1972” (cit., p. 119).

Di fronte a tanto sfacelo (l’inflazione era arrivata al 400%), sorse spontaneo il movimento delle “massaie” con le “casseruole vuote” in piazza, poiché le code davanti ai negozi erano quotidiane e chilometriche. Il 1° dicembre 1971, dopo appena 3 mesi di riforme, nella capitale vi fu una “marcia di massaie con le pentole vuote”, che paralizzò Santiago. A ciò si aggiunse lo sciopero dei camionisti, che paralizzò il Paese, dato il carattere geograficamente montagnoso del Cile, ove il trasporto non avviene per treno ma via mare o camion.

Allende per primo ricorre ai militari

Quando Allende si accorse di tanto disastro tentò (lui per primo e non Pinochet) di ricorrere ai militari per instaurare una ferrea dittatura poliziesca.

“Così nel novembre 1972, con quello che venne definito un tentativo di auto-golpe, Allende chiamò 3 generali a dividere con lui le responsabilità di governo. Ed ecco che, dal 2 novembre [solo la scelta della data del 2 novembre, la “commemorazione di tutti i defunti”, denota un completo distacco dalla realtà, ndr] del 1972 al 28 marzo del 1973 il governo marxista del Cile fu tenuto al potere anche dalle baionette dell’esercito” (cit., p. 125).

Tuttavia neppure i militari riuscirono a fermare lo sfacelo e inevitabilmente si arrivò (28 marzo 1973) alle dimissioni dei 3 ministri militari. Allora Allende tentò un secondo autogolpe chiamando il generale in capo dell’esercito cileno, Carlos Prats (marxista e massone come lui), ma tale tentativo abortì dopo appena 2 settimane di trattative e portò alle dimissioni di Prats dalla sua carica di capo di Stato maggiore (28 giugno 1973), poiché l’esercito gli aveva mostrato il suo pieno disaccordo per la sua alleanza con Allende. Fu allora che Augusto Pinochet divenne capo di Stato maggiore dell’esercito cileno al posto di Prats.

Inizio della rivolta aperta

Oltre alla resistenza delle gente comune (le massaie e i camionisti) anche l’esercito iniziava a dare segni di forte scontento e il Parlamento (come vedremo in seguito) iniziava a non obbedire più supinamente ad Allende. Il Paese si trova spaccato in due, da una parte l’estremismo terrorista di sinistra aiutato da Cuba e dall’Urss, e dall’altra la parte sana del Paese, che non potendo da sola tener testa agli estremisti marxisti, i quali non esitavano a ricorrere alla violenza e agli assassinii, ricorse all’aiuto dell’esercito, che dopo che anche il Parlamento aveva sfiduciato Allende e questi si era rifiutato di trarne le dovute conseguenze, non poté non entrare in azione.

“La protesta popolare vera e propria, sotto forma di scioperi e manifestazioni di piazza, si sviluppò nell’ottobre del 1972 prendendo lo spunto da uno sciopero degli autotrasportatori (ben 40. 000), minacciati da un decreto di nazionalizzazione. Ai camionisti si unirono presto gli studenti, gli insegnanti, i negozianti, gli impiegati di banca, i contadini, i piloti delle linee aeree, i conducenti di autobus, i marinai mercantili, le associazioni dei medici, degli avvocati, degli ingegneri e degli architetti. […]. Da parte degli scioperanti si schierarono tutti i partiti moderati o conservatori, incluso quello democristiano” (cit., p. 129 e 131).

Nel prossimo articolo affronteremo il problema del golpe militare dell’11 settembre del 1973.

fine della Seconda parte

(Articolo tratto dal sito dell’autore)

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