La scomparsa di Pablito Rossi non è solo quella di un giocatore che ha fatto impazzire di gioia milioni di tifosi; Paolo Rossi non rappresentava solo il goleador della Nazionale ma anche un “tipo”, anzi “il” tipo di Italiano.

Educato, sobrio, riservato al limite della timidezza, il suo essere anti-divo si sposava perfettamente col suo nome e cognome, del tutto comuni, anonimi.

Ma questo “anonimo” italiano, questo comune signor Rossi, possedeva un’arma fenomenale che l’ha reso famoso: l’opportunismo in campo, ossia il saper cogliere l’attimo giusto per rifilare la stoccata vincente.

Arma tipica dell’Italiano; acuto, intelligente, un po’ cinico, capace di esprimere sempre il meglio di sé anche con scarsi mezzi a disposizione.

Come non ricordare le osservazioni di Salvador De Madariaga, che nel suo celeberrimo “Ritratto d’Europa” dipinse i nostri compatrioti in una maniera tanto paradossale quanto esatta. Egli rilevava che non vi è una lingua, come quella italiana, che contempli nel suo vocabolario tante “i”, molto meno presenti nelle parole tedesche, francesi, inglesi, spagnole, etc… e che quella vocale, anche nel suo suono, dà la plastica idea di qualcosa di affilato, di appuntito; di un pugnale, di una spada.

Non mancava di notare, l’intellettuale spagnolo, che non era certo un caso che la scuola italiana di scherma vantasse il maggior numero di medaglie nei campionati internazionali e nei giochi olimpici; per la nostra innata capacità di colpire in velocità, per il senso di opportunismo, magari anche un po’ sornione, per la nostra attitudine a usare un mezzo, l’arma bianca, che meglio sa mettere in pratica quelle doti.

L’italiano Paolo Rossi espresse quelle qualità sull’erba dei campi, in una Italia calcistica che, come quella reale, aveva sempre puntato al sodo, senza tanti fronzoli, riflesso di una mentalità che aveva nel suo DNA quelle caratteristiche di scioltezza, di agilità mentale, di acutezza di pensiero, di capacità di cogliere l’attimo, di sapersela cavare anche nelle situazioni più difficili.

Se osserviamo l’Italia di oggi, lenta, approssimativa, cialtrona, dalle mille pastoie e dalle mille regole idiote, c’è da chiedersi se la morte di questo nostro amato e italianissimo campione, sobrio e intelligente, educato e acuto, non rappresenti anche, drammaticamente, il sigillo della scomparsa di una nazione che seppe essere un tempo sobria, intelligente, educata e acuta.

Articolo precedenteLo sciopero e i veri numeri sulla Pubblica Amministrazione: impietosi
Articolo successivoIl caso Pinochet (2^ parte)