11 settembre 2001, una data simbolo, icona dei nostri peggiori nemici e delle nostre paure.

Unirsi al coro dei complottisti sostendo che si è trattato di una bieca montatura, può sembrare riduttivo; ma anche unirsi a quell’altro coro – quello della versione ufficiale – è alquanto problematico.  Una cosa, però, è certa: i fatti dell’11 settembre 2001 hanno rappresentato tanto per il lacerato Occidente quanto per il mondo mussulmano (soprattutto quello sunnita) una tappa fondamentale del loro contraddittorio rapporto.

Chiunque sia stato, ha centrato l’obiettivo: colpire le nostre menti.

Nell’Occidente lacerato e in piena dissoluzione morale, dominato dal pensiero liberal-progressista e sostanzialmente anti-cattolico, i fatti di quel 11 settembre hanno provocato reazioni diverse e contrastanti, tra le quali non può non colpire quella di chi sostiene la non pericolosità dell’Islam e della sua ferma volontà di espandersi nel mondo. Pericolosità oggettiva e per nulla fondata sulla presunta responsabilità di organizzazioni mussulmane circa quanto accaduto a New York l’11 settembre 2001.

Di fronte al crollo delle «torri gemelle» gran parte del mondo islamico ha esultato, vedendo in quel fatto un’azione condotta contro l’Occidente intero: quello di ieri, cristiano, e quello di oggi americano-centrico e relativista. Ebbene, a fronte di ciò, in Europa ed in Italia c’è chi finge di non vedere in quale maniera quella gran parte del mondo islamico – segnatamente quello sunnita – concepisca il proprio rapporto con l’Occidente (del quale, volenti o nolenti, facciamo parte anche noi, giustamente refrattari ad essere considerati alla stregua dei prodotti del processo sovversivo che a questo Occidente oggi danno il tono).

Il nostro stato d’animo – già minato da una morale reticente, renitente e invertita rispetto all’etica virile che per secoli ha guidato le nostre riscosse – e la nostra postura sono ora paragonabili ad un tappetino posto sotto qualunque piede abbia intenzione di pulirsi le suole, condizionati come sono da un atteggiamento da «ti amo parliamone», versione degenere e demoniaca del cristiano precetto «ama il prossimo tuo come te stesso».

Una molle e suicida linea di pensiero, secondo la quale:

  • non siamo in alcun modo di fronte a uno scontro con il mondo islamico;
  • chi sostiene che l’immigrazione islamica sia pericolosa è un razzista xenofobo;
  • l’Islam è una religione di pace e il jihad non è uno sforzo bellico;
  • se gli islamici ce l’hanno con noi, la colpa è delle crociate e del colonialismo.

Visto che dopo i fatti dell’11 settembre 2001 di azioni jihadiste contro un Occidente in preda al panico da servetta agitata ne sono state condotte diverse, cerchiamo di ricordare a questo Occidente in crisi di identità e di memoria come si è giunti a tanto.

Per fare questo è necessario fissare dei paletti all’interno dei quali muoversi.

  • L’Islam non è una religione di pace, è una religione di guerra il cui simbolo sono le sciabole incrociate e la sua storia lo dimostra (evitiamo di fare la scaletta delle conquiste, armi in pugno, dal momento della sua espansione fino all’occupazione del Maghreb e della Spagna perché è sufficiente un normalissmo manuale/datario di storia).
  • Chi nel mondo islamico ha esultato per l’azione del 09.11.2001 è in intimo ed inconfessabile atteggiamento di scontro con l’Occidente, considerato (senza fare distinzioni tra cristianesimo e laicismo) una civiltà indegna dell’unico vero Dio che, tramite Mohammad, ha chiamato a raccolta gli unici veri credenti: i musulmani.
  • L’Islam si pone automaticamente in una situazione di scontro religioso ed anche di civiltà per due ragioni molto semplici: è convinto di dover convertire l’orbe (anche «bi a’ssaif» ossia con la spada) per il bene di tutti, e la legge imposta dalla sua spada è l’unica legge civile accettabile perché tutte le altre sono peccaminose, rispetto all’unica vera legge morale e sociale che è la Shari’a.
  • Checché ne dicano numerosi e autoproclamati esperti, molti dei quali conoscono dell’islam solo l’aspetto «propagandistico» promosso dalla «takiya» (la dissimulazione), il concetto di jihad è connaturato all’Islam e le dotte differenze tra piccolo e grande jihad sono solo del bla-bla ad uso e consumo di chi ha optato per farsi impapocchiare.
  • E’ tuttavia vero che l’Islam non è granitico, a dispetto di ciò che molti «esperti» vanno cianciando, quindi è vero che in seno ad esso (parliamo dell’Islam sunnita, quello in cui albergano le dottrine peggiori quanto a chiusura, onestà intellettuale e perfino malvagità) si sono sviluppate delle riflessioni tese a stemperare la carica «close-minded» che lo caratterizza, queste riflessioni albergano soprattutto nei paesi del mondo arabo-islamico ove si è sviluppata una questua spirituale di stampo sufi (derivante da un intenso scambio di esperienze con le pristine comunità ebraiche e cristiane, il Monastero di Santa Caterina era uno di quei luoghi di interscambio) da cui è partita una definizione che ha del rivoluzionario. Tale definizione è stata suggerita dal Sovrano Marocchino Mohammed VI il quale si è coraggiosamente deciso a qualificare l’Islam in due branche: l’Islam «tollerante» (di matrice Sufi che convive pacificamente con le altre religioni) e l’Islam «intollerante» (di matrice integralista e salafita, portato avanti con una buona dose di takiya dalla Fratellanza Musulmana e sicuramente da respingere).
  • Un problema di importanza decisiva nel rapporto con l’Islam, è costituito dal fatto che, ormai da un secolo, l’Occidente se la intende con la versione più becera che di esso possa esistere: quella Wahhabita dei fratelli musulmani e quella salafita.
  • Qual è il tipo di rapporto che abbiamo con il mondo arabo-islamico? Semplice: abbiamo un rapporto di tornaconto economico e un rapporto contraddistinto da un complesso di colpa che più demenziale non si può. Da una parte ci sono i centri di potere economico legati agli idrocarburi e ad altri interessi geostrategici, dall’altra c’è una pletora di deficentucoli che trova ragion d’essere in analisi storiche prive di consistenza e sempre decontestualizzate, che inducono a fare un continuo bidet alla nostra coscienza per via delle crociate e del colonialismo. Scemenze!
  • Chi scrive, nel mondo arabo-Islamico ci ha passato la bellezza di 50 anni e in tale mondo conta molti dei suoi migliori amici, tutti musulmani convinti e, guarda caso, tutti convinti che le analisi storiche, sociali, culturali, politiche degli esperti occidentali siano farlocche.
  • Non c’entrano le crociate, i popoli arabo-islamici hanno avuto contezza delle crociate quando hanno iniziato a frequentare le scuole francesi, le quali affrontavano l’argomento in maniera ideologica e decontestualizzata, con un taglio aprioristicamente negativo … Un amico ci disse: «è incomprensibile come voi insistiate così tanto a criticare chi ha cercato di riprendere Gerusalemme e non abbiate nulla da dire contro chi ve l’aveva tolta». 
  • Non c’entra il colonialismo, o almeno non è la frustrazione patita per l’oppressione coloniale che ha generato l’astio arabo-islamico nei confronti dell’Occidente. No! L’astio arabo-islamico per l’Occidente è un astio che affonda le sue radici in un confronto spirituale e di civiltà con noi ed è attribuibile ad una sola corrente della sunna islamica, quella che è convinta di essere stata chiamata da Allah a migliorare il mondo e che, in questo momento, all’insaputa di moltissimi occidentali, è in netto contrasto con l’altra parte dell’Islam sunnita, quella definita «tollerante».
  • E’ nella convinzione messianica, sia spirituale dell’Islam wahhabita e salafita, sia politica della Fratellanza Musulmana, di essere investiti del compito di rendere musulmano il mondo che va ricercata la ragione dell’attivismo islamista militante che prevede la «da’wa» (predicazione plagiante) e il «Jihad» (lo sforzo guerriero per il trionfo della « Shari’a», la retta via)

Quanto sopra non sia interpretato come una difesa del povero e innocente Occidente gonzo e renitente, sul quale grava la responsabilità di farsi dominare da un sistema – culturale, politico, economico e finanziario – la cui linea di pensiero ed il cui modus operandi sono contrari all’etica naturale e cristiana, e, dunque, contrari alla giustizia, alla verità, alla dignità della natura umana e a quella dei popoli. Un sistema che tratta come allocchi i popoli occidentali, spacciando loro come diritti e conquiste civili ciò che, in realtà, li conduce alla dissoluzione morale e fisica.

Certo, il nostro peggior nemico oggi può essere il jihadista – ciò che si è consumato in Siria ed in Libia, insieme a ciò che abbiamo visto accadere in tante contrade dell’Europa è alquanto eloquente – ma non possiamo non renderci conto che l’alleato del jihadista è colui il quale, nella maggioranza dei casi convinto laicista, se la intende con l’Arabia Saudita wahhabita e con i fratelli musulmani; colui il quale, mentendo non poco, ha fatto la guerra a due paesi arabo-islamici «tolleranti» in cui cristiani e musulmani vivevano in santa pace.

Non possiamo non chiederci per quale ragione, anziché sostenere l’idea della «Grande Nazione Araba» di stampo ba’athista – laica ma non atea, che vedeva uniti i popoli arabo-islamici a cristiani ed ebrei di Siria, Libano, Giordania, Egitto, Iraq, fino al Maghreb – l’Occidente si sia alleato con l’intollerante Islam wahhabita del mondo arabo-islamico del golfo, i cui pargoli, pieni di petrodollari, nel 2001 pare abbiano attaccato  e distrutto uno dei simboli (peggiori) dell’Occidente.

Marco Sudati e Corrado Corradi

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