John Kenneth Galbraith, economista di Princeton, Cambridge ed Harvard, ebbe una volta a dire, circa la tenace resistenza che gran parte dell’élite economica americana mantenne contro il New Deal e le politiche di stimolo economico messe in campo a seguito della crisi del ’29: “Si pone la domanda del perché il mondo imprenditoriale abbia opposto resistenza a misure economiche così chiaramente volte a difendere il sistema economico, domanda che si sarebbe riproposta in modo insistente e pressante in rapporto all’azione keynesiana. Questa resistenza è stata attribuita tradizionalmente alla miopia – o, nel modo di esprimersi di chi non si fa tanti problemi nella scelta dei vocaboli, alla stupidità – degli imprenditori, e in particolare dei loro portavoce più influenti. Questa è però una spiegazione limitata. L’interesse pecuniario personale non ha un’importanza assoluta su questi problemi; anche la convinzione religiosa ha un ruolo. Per i protagonisti del mondo economico il sistema classico era – e rimane – qualcosa di più di un’organizzazione per la produzione di beni e servizi e per difendere la remunerazione personale. Esso era anche un totem, una manifestazione di fede religiosa. Perciò doveva essere rispettato e protetto. Imprenditori, dirigenti di società, capitalisti si innalzarono al di sopra dell’interesse a difendere la fede. E molti si comportano così anche oggi’.

Francamente, ogni volta che Mario Draghi, presidente emerito della BCE, dati gli ampi applausi che infallibilmente riscuote, insieme ai sospiri di chi lo vorrebbe ora a Palazzo Chigi ora al Quirinale, in particolare tra gli esponenti del mondo imprenditoriale, tra i dirigenti di aziende, tra i responsabili dei ceti produttivi italiani – o di ciò che ne rimane – come a suo tempo avvenne per Mario Monti, ecco ogni volta che tutto ciò accade francamente penso alle parole di Galbraith.

La platea di Comunione e Liberazione di Rimini a cui si è rivolto Draghi, come ben noto, non è solo la platea di una qualunque associazione di matrice cattolica, ma è la platea di un ampio movimento, politicamente vicino al centro-destra e geograficamente con un importante radicamento in Lombardia. Insomma, una platea immediatamente attigua a gran parte della piccola e media industria del nord.

Come questa platea, e con essa la grande maggioranza dei ceti produttivi italiani, possano plaudire al rappresentante dell’istituzione garante della moneta unica, dalla cui adesione l’Italia si è ritrovata in una stagnazione innegabile e ormai ventennale, è a mio avviso spiegabile, vista l’ostinazione con la quale l’opinione pubblica italiana si orienta in maniera divergente rispetto ai propri interessi, solamente con una presunzione di tipo fideistico, come quella sopra riportata.

Fatta questa debita premessa, non ci resta che seguire nel dettaglio e nel merito le parole proferite da Draghi al meeting ciellino.

Draghi si è ampiamente speso sull’importanza di cogliere la crisi derivante dalla pandemia per attuare politiche nuove, per aumentare gli investimenti nel digitale, nell’economia verde, nell’istruzione, nel futuro dei giovani.

In particolare, a livello massmediatico ha avuto risalto l’invito a costruire un migliore futuro per i giovani, superando la logica del mero sussidio concesso in stato di emergenza.

Ha parlato “stock di debito destinati a rimanere elevati a lungo”, debito che ha dichiarato sostenibile se impiegato per spesa produttiva.

Ha similmente aggiunto che “il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani. È nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre. Per anni, una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza”.

In questa frase, lungi dall’esserci vere speranze per i giovani, come si potrebbe essere indotti a pensare dal tono generale, il punto centrale è l’avvio, in cui Draghi attesta una situazione effettivamente senza precedenti, ma non lascia aperture per soluzioni adeguate o innovative.

Abbiamo più debito oggi a seguito di uno shock negativo? Ebbene la BCE, che poteva fare “qualunque cosa necessaria per salvare l’euronon farà nulla per agevolare la sostenibilità del debito, che dovrà essere ripagato in futuro centesimo per centesimo.

L’ipotesi di monetizzare il debito? Eresia. L’ipotesi di un finanziamento diretto almeno del debito per spesa produttiva, del “debito buono” sempre secondo le parole di Draghi? Non pervenuta

L’appello che Draghi fa ai giovani è l’invito che fa affinché si impegnino a ipotecare sé stessi e il proprio avvenire per difendere la fede in un sistema la cui tenuta si pone al di là dell’interesse pecuniario di chi si trova dentro il sistema stesso.

Sorvoliamo anche sulle “forme di egoismo collettivo” che, dette da chi è stato gestore, difensore e protettore del sistema mercantilistico dell’euro, dove per difendere la parità di cambio si è accettato e si accetta elevata disoccupazione e di bloccare gli aumenti dei salari nei paesi impossibilitati a cogliere le opportunità di un cambio flessibile di mercato, sono un’offesa all’intelligenza di chi lo ha dovuto ascoltare..

Sorvoliamo fino a un certo punto però, dal momento che Draghi, probabilmente per ammantarsi di un’aurea di “ispirazione sociale” che veramente poco gli si addice, ha avuto l’ardire di citare per due volte Keynes durante il suo discorso.

Entrambi i riferimenti erano tuttavia privi di contenuto, dal momento che difficilmente Keynes avrebbe potuto plaudire ad un sistema come quello dell’euro.

Per la verità, la mostruosità dell’euro sarebbe riuscita nel miracolo di far concordare Keynes con il suo massimo critico, Milton Friedman, massimo teorico dei cambi flessibili.

In ogni caso, per restare a Keynes (visto l’ardire di Draghi di citare il teorico dell’espansionismo fiscale), sempre secondo la lettura di Galbraith, così si esprimeva sull’intento del governo britannico del 1925 di rivalutare la sterlina al suo valore aureo prebellico (senza entrare nel tecnico, una misura del tutto simile all’eurotassa di Prodi del 1997 o alle manovre di austerity di Monti): “Questo risultato era richiesto da tutta la solenne scienza e tradizione finanziaria, ma la sterlina pesante ebbe anche come conseguenze di far salire i prezzi dei prodotti d’esportazione britannici […] Nei suoi effetti sulle esportazioni e sulle importazioni, la sterlina pesante era l’esatto opposto della politica di Roosevelt […] Perché le esportazioni britanniche rimanessero competitive, dovevano calare i prezzi, e con essi i costi, e specialmente i salari. Il ritorno della Gran Bretagna al regime aureo nel 1925 rimane ancora una delle decisioni più chiaramente sbagliate nella storia lunga e impressionante dell’errore economico.

Keynes fu spietato nella sua opposizione e specialmente nelle sue critiche a Churchill […] Avendo già trovato in precedenza un buon titolo [Le conseguenze economiche della pace Ndr], non esitò a usarlo una seconda volta. Il saggio contenente questo attaccò si intitolò ‘Le conseguenze economiche di Mr. Churchill’.”

Ecco, a tutta l’ottusa platea di Rimini, a tutti i banchieri, dirigenti, imprenditori italiani che da vent’anni chiudono gli occhi sul sistema europeo, qualcuno dovrà pur porre un quesito.

Forse non si è agito come i finanzieri britannici, che per la fede nella parità aurea volevano la sterlina forte?

Forse non si è agito come gli imprenditori americani, che per la fede nel sistema rifiutavano gli aiuti alla domanda aggregata?

Forse non è arrivato il momento di deporre la fede verso un sistema e smettere di applaudire i sommi sacerdoti di quel sistema?

Forse non è arrivato il momento di scrivere un breve saggio dal titolo ‘Le conseguenze economiche di Mr. Draghi’?

Di più, se da parte vostra si continua a sfruttare la vostra dabbenaggine per farvi inghiottire “una delle decisioni più chiaramente sbagliate nella storia lunga e impressionante dell’errore economico” come l’adesione dell’Italia all’euro, non è che forse qualcuno, forse quello che applaudite in platea, aveva altre ragioni per indurvi a tale scelta?

Draghi stesso, nella parte finale del suo discorso, quella non riportata dai media abbacinati dalle parole chiave ‘giovani’, ‘ambiente’, ‘digitale’, è decisamente esplicito.

Per seguire parola per parola Draghi: “È nella natura del progetto europeo evolversi gradualmente e prevedibilmente, con la creazione di nuove regole e di nuove istituzioni: l’introduzione dell’euro seguì logicamente la creazione del mercato unico; la condivisione europea di una disciplina dei bilanci nazionali, prima, l’unione bancaria, dopo, furono conseguenze necessarie della moneta unica. La creazione di un bilancio europeo, anch’essa prevedibile nell’evoluzione della nostra architettura istituzionale, un giorno correggerà questo difetto che ancora permane.

Insomma, Draghi ve l’ha detto abbastanza chiaramente. Vi ricordate quando nel 1987 si parlava del Sistema Monetario Europeo, nel 1992 di Maastricht, nel 1997 dell’euro, nel 2012 e da allora ad oggi della difesa dell’euro?

Perché l’Italia doveva aderire a tutto ciò?

Si diceva illo tempore: per avere un mercato comune più vasto, per avere un mercato comune più concorrenziale, per controllare l’inflazione, per abbassare i tassi di interesse sul debito, per lo spread, per “lavorare un giorno in meno guadagnando come se si lavorasse un giorno in più” (Prodi dixit), etc…

No, per nulla di tutto questo.

Siamo entranti, contro il nostro interesse (e ognuno è chiamato a farsi in conti in tasca) per entrare nella dinamica di “un progetto in evoluzione graduale”.

Siamo entrati perché “la condivisione europea di una disciplina dei bilanci nazionali, prima, l’unione bancaria, dopo, furono conseguenze necessarie della moneta unica”, cioè siamo entrati (e siamo rimasti) perché spiegare alla gente che si vuole sciogliere lo Stato Nazionale e creare una collettività federale europea, un’unione politica insomma, era troppo scomodo e si temeva che la gente semplicemente potesse dire di no.

Siamo entrati (e siamo rimasti) contro i nostri interessi perché le asimmetrie insopportabili implicano “La creazione di un bilancio europeo, anch’essa prevedibile nell’evoluzione della nostra architettura istituzionale, un giorno correggerà questo difetto che ancora permane.”

Ad Draghii abundantiam: “Il fondo per la generazione futura, il NextGenerationEu  [inclusivo del Recovery Fund Ndr] arricchisce gli strumenti della politica europea. Il riconoscimento del ruolo che un bilancio europeo può avere nello stabilizzare le nostre economie, l’inizio di emissioni di debito comune, sono importanti e possono diventare il principio di un disegno che porterà a un ministero del Tesoro comunitario la cui funzione nel conferire stabilità all’area dell’euro è stata affermata da tempo. Dopo decenni che hanno visto nelle decisioni europee il prevalere della volontà dei governi, il cosiddetto metodo intergovernativo, la Commissione è ritornata al centro dell’azione.

Almeno per una volta è preannunciato il passo che seguirà all’entrata a regime del Recovery Fund, il ministero del Tesoro comunitario e la centralizzazione del potere esecutivo sopra i governi nazionali.

Dopo aver ammesso solo nel 2020, dopo vent’anni di adozione, che l’euro non funzionava e che non poteva funzionare, dopo milioni di disoccupati, di lavoratori sottopagati, di imprenditori falliti o eternamente con l’acqua alla gola, dopo la deflazione e la stagnazione, dopo il consolidamento-oppressione fiscale, ecco che chi è stato corresponsabile di tutto ciò che ci viene a dire: “Sì lo sapevamo e aspettavamo un aggravio ulteriore della situazione come quello della pandemia, però – in nome del futuro dei vostri giovani che altrimenti, a questo punto, si ritroveranno disoccupati, appesi a un sussidio e schiacciati dai debiti che noi non sosterremo – però, ecco, ne è valsa la pena perché così riusciremo a farvi accettare anche la fine della vostra sovranità nazionale e farvi governare dalla nostra Commissione. Però prego, applaudite pure”.

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