Il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, prof. avv. Giuseppe Conte, ha definito l’accordo raggiunto in occasione dell’ultimo Consiglio europeo dei giorni 17-21 luglio 2020 sul c.d. Recovery Fund di “portata storica”.

Lo stesso Commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni, ha parlato del più grande risultato dell’ordinamento comunitario dopo l’entrata in vigore della moneta unica (l’euro) nel 2002.

È davvero così? La risposta non può che essere negativa. Infatti, l’importo dei prestiti e delle sovvenzioni sarà trovato grazie all’emissione di titoli di debito ancorati al bilancio comunitario 2021-2027 e, dunque, garantiti dai 27 Stati membri, Italia inclusa (senza mutualizzazione del debito pregresso). Questi verranno ovviamente chiamati a rimborsare gli investitori con i relativi interessi: il che significa nuove tasse a carico di cittadini e società che svolgono attività di impresa.

Inoltre, l’ erogazione dei fondi è sottoposta a rigide condizionalità: interventi nel sistema sanitario, economia “green” e riforme volte ad una maggiore digitalizzazione. Questo implica un controllo ancora più pregnante sulle politiche di bilancio degli Stati dell’eurozona, con l’eventuale possibilità di bloccare, per un periodo massimo di tre mesi, la distribuzione delle somme assegnate a ciascuno Stato. Un’opzione, della quale la stampa non parla, che assicura agli altri Paesi l’esercizio di un vero e proprio sindacato ispettivo.

In altri termini, un passo ulteriore funzionale ad un maggiore condizionamento politico dell’Unione Europea sulle già deboli sovranità nazionali. Conte e il suo Governo di marionette hanno posto in questo modo una “spada di Damocle” sull’operato dei prossimi Governi. E questo sarebbe un risultato “storico”?

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