Il 30 giugno si è svolta la “Conferenza dei Donatori” sulla Siria organizzata dall’Unione Europea. Scopo dell’iniziativa, quello di raccogliere fondi da destinarsi alla risoluzione della crisi umanitaria che sta flagellando la Siria, martoriata da una ormai decennale guerra civile. Obiettivo: circa 10 miliardi di Dollari, da destinarsi per un terzo ad iniziative sul suolo siriano, e per due terzi ai diversi paesi dell’area mediterranea che accolgono la gran parte dei rifugiati siriani (circa 6 milioni): Turchia, Giordania, Egitto, Iraq, Libano.

Tutto bene? Solo una lodevole iniziativa animata da intenti umanitari ed orientata all’imparzialità ed alla gratuità? Non diremmo proprio. E non sono congetture o complottismi, i nostri: è lo stesso Joseph Borrell, alto rappresentante della politica estera europea, a confermarcelo con le proprie dichiarazioni, rilasciate a margine dell’evento. «Il regime siriano è responsabile della crisi umanitaria, economica e sanitaria che vive il Paese. Non le sanzioni», sostiene Borrell, che non fa altro che confermare la linea che l’Occidente ha sempre sposato riguardo al conflitto siriano, che si tratti di UE, NATO, o addirittura ONU (si veda la risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza, che prevede una “transizione democratica” per il Paese, ovviamente senza Assad).

In parole povere, all’Occidente non sta bene che, proprio alle porte dell’Unione Europea ed a un tiro di schioppo da Israele, possa esistere uno Stato sovrano, libero, laico, socialista, economicamente indipendente, “diverso” dal modello di Stato ideale che gli “esportatori di democrazia” ritengono essere l’unico accettabile.

E l’Occidente che fa? Reagisce come reagirebbe un bambino: «O si gioca come dico io, o non si gioca affatto. La colpa non è mia se il pallone è bucato: è tua perché, non accettando le mie regole, mi hai costretto a bucartelo». Proprio così: che questa pletora di diplomatici e di funzionari sia realmente convinta delle posizioni che sostiene, o che le sostenga per mera convenienza, il succo non cambia: con Assad e con il legittimo Governo che il Popolo siriano si è voluto dare, non ci sarà mai pace, non ci sarà mai ricostruzione.

Ed in mezzo a tutto questo, l’Italia che fa? Si dimostra molto generosa, ma non sappiamo con chi. Luigi Di Maio, in qualità di Ministro degli Esteri, ha annunciato in pompa magna che il nostro Paese parteciperà alla raccolta fondi con un «contributo di 45 milioni di euro in attività umanitarie e di sviluppo destinati alla Siria e ai paesi della regione che ospitano il maggior numero di rifugiati siriani». Bene: dove finiranno i nostri soldi?

Dal momento che i rapporti diplomatici tra Italia e Siria si sono interrotti ormai da otto anni, con la chiusura della nostra Ambasciata a Damasco avvenuta nel marzo del 2012, e che non ci sono contatti diretti ed ufficiali tra le istituzioni italiane e quelle siriane da anni; dal momento che già in passato l’Italia, nell’invio di aiuti umanitari verso la Siria, pare essersi distinta non tanto per la benevolenza verso il popolo siriano nella sua interezza, senza distinzioni o discriminazioni, ma con la particolare attenzione verso determinate aree geografiche, specifiche minoranze etniche, particolari posizioni politiche (vedi ad esempio i 200.000 Euro inviati nel 2016 in Rojava, e gestiti da una ONG in favore della minoranza armata curda che occupa la regione, apertamente in conflitto con il Governo nazionale); dal momento che conosciamo i nostri polli, è lecito porsi qualche domanda? E sarà verosimile attendersi una qualche risposta?

Di Maio, se ci sei, batti un colpo. Dove finiranno i nostri soldi? È beneficienza, o è un favore fatto a qualche potentato internazionale, a beneficio di qualche amico comune?

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