In questi tempi di confusione è necessario, per i cattolici attenti ai valori della tradizione, tornare alle monumentali opere di quei pensatori che non hanno mai voluto rinnegare l’integralità della propria identità spirituale.
Uno di questi è l’ispanico Juan Donoso Cortés (1809-1853).
Donoso fu tra i dottrinari cattolici controrivoluzionari il più lucido nella comprensione dei propri tempi. Scrisse nel 1851 il celeberrimo “Ensayo sobre el catolicismo, el liberalismo y el socialismo”, opera senz’altro fondamentale.
Diplomatico di carriera, espose il proprio pensiero anche attraverso una lunga serie di discorsi parlamentari e moltissime epistole private. La sua fama fu tale che Pio IX lo interpellò, quale esperto laico, in vista della preparazione del Sillabo.
Quale diplomatico fu ispiratore di un progetto politico di ampio respiro che, se fosse andato in porto, avrebbe cambiato le sorti dell’Europa. Infatti, convintosi che la rivo-luzione avanzante era fomentata dall’Inghilterra, riuscì per un momento a tessere la trama diplomatica per un’alleanza delle nazioni cattoliche, in funzione antibritannica Donoso Cortés aveva ben capito che l’Europa stava vacillando sotto i colpi di maglio del razionalismo incalzante.
Da giovane era stato liberale e perciò ben conosceva quale cancro spirituale fosse il liberalismo, con il suo indifferentismo religioso, velenoso frutto del razionalismo ateo. Donoso ha scritto parole di fuoco contro il liberalismo, rimproverando ai liberali quel peccato capitale che è la pretesa di equidistanza tra la verità e l’errore. I liberali credono di poter tutto risolvere dialetticamente con la discussione parlamentare.
Essi non vogliono né la sovranità del re, né quella del popolo: in nome della democrazia censitaria, vogliono un re costituzionale, privo di effettivi poteri di governo.
Avendo compreso che dietro ogni forma di governo vi è una teologia, così come dietro ogni errore politico un errore teologico, Donoso Cortés nutriva profondo disprezzo per i liberali, a causa del loro indifferentismo religioso e del loro ambiguo moderatismo, mentre riconosceva spessore teologico-politico al socialismo, poiché quest’ultimo altro non è che una religione capovolta.
In quanto contraffazione del cattolicesimo, il socialismo ha una forza spirituale simile a quella religiosa, ma distruttrice e non costruttrice di civiltà: “Il socialismo è forte perché è una teo-logia, ed è distruttore perché la sua è una teologia satanica”, scriveva nel suo”Ensayo”. A differenza di quel “profeta”fallito che è stato Karl Marx, Donoso capì in anticipo dove il socialismo avrebbe fatto la sua prova:“lo credo più facile una rivoluzione a Pietroburgo che a Londra (…). Quando in Europa non ci sarà più patriottismo, spento dalle rivoluzioni socialiste, quando nell’oriente d’Europa si sarà formata la grande confederazione dei popoli slavi,… allora, signori, suonerà all’orologio dei tempi l’ora della Russia”, affermò nel 1850 nel suo “Discurso sobre la situaciòn general de España”.
Le invettive donosiane contro il socialismo non erano tuttavia quel-le di un liberale, ossia non erano motivate da interessi economici o di ceto.
Al contrario, Donoso, cristianamente, capì che il socialismo trovava la propria ragion d’essere nello spietato sfruttamento cui l’industrializzazione, dopo aver distrutto l’ordinamento comunitario della cristianità, sottoponeva i ceti più deboli.
Se il male principale era dunque il liberismo, Donoso cercò, da esperto statista, di operare concretamente per porre rimedio al disastro sociale moderno. Egli tentò, infatti, di convincere la reggente di Spagna Maria Cristina ad affrontare con metodi cattolici la questione sociale aperta dall’industrializzazione.
Giunse persino a spogliarsi dei propri beni in favore dei poveri. Ambasciatore a Parigi, egli, marchese di Valdegamas nonché visconte del Valle e Grande di Spagna donò il proprio denaro ai poveri dei ghetti industriali e, rimasto in possesso di una sola camicia, si aggirava per le squallide periferie operaie della città “adottando”, quale padrino di battesimo un numero cospicuo di bambini poveri che si impegnava a far studiare a proprie spese,per avviarli a miglior sorte.
Vero santo laico, Donoso Cortés incarna nella perfetta continuità con la tradizione quella che sarà chiamata dottrina sociale cattolica.
Dalle “altezze cattoliche”, dalle quali diceva di leggere il mondo e la storia dell’umanità, egli capì che la radice dei mali futuri, già al-l’epoca visibili all’orizzonte, era nell’indiffrentismo religioso del liberalismo, dottrina contraria alla legge morale cristiana, nonché matrice dell’egoismo sociale e per contraccolpo delle rivoluzioni operaie.
Donoso non poté intravedere, nell’ulteriore cammino della secolarizzazione, dopo la fase socialista, l’emergere del neo-liberismo mondialista oggi egemone: la curva dell’orizzonte storico, alla metà del XIX secolo, non permetteva ancora tanto. E tuttavia ciò non gli impedì di capire l’esito nichilista della secolarizzazione quando, contro l’economicismo che accomuna liberismo e socialismo, affermò che “ogni questione deve essere collocata al suo posto, ed il posto delle questioni economiche è il terzo o il quarto, non il primo” (“Discurso”).
Inequivocabile negazione del mito odierno del “primato dell’economia”.
E proprio contro tale preteso primato, che vuole ridurre la politica a pura amministrazione e sostituire lo Stato, inteso come comunità politica, con organizzazioni amministrative dotate di ampi poteri coercitivi (le “authority” di importazione anglosassone).
Donoso affermava nel suo “Ensayo” “L’errore fondamentale del liberalismo consiste nell’annettere importanza soltanto alle questioni di governo che, paragonate con quelle di ordine religioso e sociale non hanno alcuna importanza”.
Non dunque all’economia, ma alla teologia spetta il primo posto. Presentendo l’avvento dell’epoca delle affermazioni sovrane e delle negazioni assolute, Donoso Cortés intuì quali fossero gli spazi geopolitici nei quali ai suoi tempi si incarnava la lotta, politica e metafisica, fra l’Europa cattolica e l’apostasia.
Se la radice della secolarizzazione è da ricercarsi nell’indifferentismo religioso, morale e sociale introdotto dal liberalismo, questa mala pianta aveva trovato terreno fertile nell’Inghilterra protestante ed anglicana e nelle sue propaggini nord-americane.
L’Inghilterra, ammoniva Donoso, è il nemico principale del cattolicesimo, perché fondatrice, nell’interesse del proprio imperialismo religioso e politico economico, delle rivoluzioni anti-cattoliche. Donoso Cortés ben aveva intuito che, attraverso la solidale rete internazionale delle logge massoniche disseminate ovunque, l’Inghilterra era l’artefice delle periodo delle rivoluzioni liberali, vere e proprie aggressioni al cuore dell’Europa cattolica, come stavano a dimostrare i fatti del 1848 apparentemente spontanei, ma evidentemente diretti da un’unica regia, Donoso comprende appieno anche l’arrogante psicologia inglese, quel complesso protestante di superiorità anti-romana, al quale purtroppo oggi corrisponde il complesso di inferiorità degli italiani abituati ad addebitare tutti i propri vizi, presunti o reali, alle ascendenze latine e cattoliche e al non essere stati”rischiarati’ dalla “luce” della Riforma.
Nello stesso 1848 egli affermò perentoriamente nel “Discorso alle Cortes”, “Per il popolo inglese ci sono due grandi razze nel mondo (…): la razza umana e la razza inglese, abbietta la prima, nobilissima la seconda. Dio pose la razza umana nel possesso di tutti i continenti e di tutti i mari, e poi creò la razza inglese per porla nel possesso della razza umana”.
Il liberalismo, del resto, è nato in Inghilterra con Adam Smith e “scuola di Manchester” era denominata nel XIX secolo l’economia classica che Cavour, protestantizzando l’Italia, avrebbe voluto applicare anche da noi.
Dal liberalismo originano poi l’odio di classe e l’odio razziale, attraverso quella radicale polarizzazione di ricchezza e povertà che i popoli cristiani mai prima delle rivoluzioni liberali avevano conosciuto, grazie all’organicismo comunitario di tipo distribuzionista e alla carità spirituale e sociale diffusa dal cattolicesimo.
La rivoluzione – gridava Donoso in faccia ai liberali – è sempre “fatta in definitiva dai ricchi e per i ricchi contro i re e contro i poveri”‘ (“Discurso sobre…”, cit.).
Quando il 3 maggio 1853 Donoso Cortés morì, a soli 44 anni, la forza trattenitrice, che egli contribuì ad “incarnare”, opposta all’avanzata del male, ossia dell’ apostasia religiosa, gradualmente venne meno e, purtroppo, l’Europa vide avverarsi una dopo l’altra tutte le sue “profezie”.




