“Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti,
Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor,
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l’orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor

E il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
D’un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All’opere imbelli dell’arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.

Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l’antico;
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha.

Nel 150esimo anniversario della morte di Alessandro Manzoni, uno dei padri della nostra letteratura, riportiamo questi passi tratti dal III coro dell”Adelchi.
Lo scontro tra i Longobardi in decadenza e i nuovi dominatori Franchi induce, in quelli che erano gli ultimi latini e i primi italiani, la falsa speranza di essere liberati da un dominatore straniero.

Il Manzoni già metteva in guardia gli italiani del suo tempo che, scacciati gli austriaci, si sarebbero trovati in casa i francesi.

Ed oggi la situazione non è cambiata, continuiamo a celebrare i “liberatori” mentre questi ultimi fanno i loro comodi sul nostro territorio, non solo da un punto di vista militare ma anche e soprattutto culturale ed economico.

Il dominio straniero non viene più imposto, ma addirittura invocato, consapevoli della nostra eterna voglia di sudditanza che solo per la prima metà del Novecento fu scacciata dalle nostre menti.


Affidare le proprie sorti ai liberatori non sarà libertà, ma una nuova schiavitù, forse meno brutale e ammorbidita dalla propaganda, ma sempre schiavitù.


Sta a noi non rintanarci nei Fori cadenti, prendere coscienza di ciò che eravamo e soprattutto di ciò che saremo. Il Manzoni ce lo disse oltre un secolo e mezzo fa, non lasciamo che il suo pensiero diventi solo un noioso compito di scuola.

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