elezioni: contestazioni dei centri-sociali e anarchici

Il tema non è peregrino in questa calda estate, tant’è che in questi giorni è uscito il nuovo libro di Francesca Totolo, per i tipi di Altaforte editore, “Emergenza antifascismo – dagli anarchici ai centri sociali”. Vi invitiamo a leggere il volume che tratta l’applicazione dell’antifascismo fatta dalla mano “militare” della sinistra. Qui di seguito l’intervento di Lorenzo Gentile sul tormentone di questa estate 2022:

Con l’avvicinarsi delle elezioni, che vedono in vantaggio la destra cosiddetta “conservatrice”, l’isteria antifascista della sinistra torna a farsi più forte e più violenta. Dopo la guerra, l’antifascismo esisteva in virtù dei partiti e dei pensieri che mossero la resistenza, derivando da essi; non tanto da un punto di vista ideologico, quanto più per il fatto che l’ideologia fascista veniva identificata con il governo mussoliniano e, in seguito, con gli eredi diretti del disciolto PNF-PFR. Con la seconda repubblica, la morte delle ideologie partigiane e l’affermarsi del centrismo, il pensiero antifascista si scollegò progressivamente dalle ideologie diventando esso stesso ideologia, assumendo caratteri fanatici e talvolta violenti. Per molte frange estreme diventò sinonimo di ribellione contro “il sistema”, contro qualsiasi legge ritenuta ingiusta, addirittura contro lo Stato, lo stesso Stato nato dalla resistenza, anche se governato dalla sinistra. Con il passare del tempo, però, l’antifascismo è tornato ancora più prepotentemente nelle istituzioni, monopolizzato dalla sinistra moderata e radicale ed usato per attaccare ogni avversario, comprendendo stavolta anche i comunisti vecchio stile. Cosa che accadeva già prima, con la differenza che un tempo l’antifascismo era uno dei cavalli di battaglia di socialisti e comunisti (all’opposizione) contro la DC e contro il MSI e i vari movimenti extraparlamentari di destra, oggi invece diventa il pretesto per inibire ogni forma di dissenso. Un antifascismo istituzionalizzato, dunque, fuso con il progressismo e con il pensiero unico imperante, vestito di politicamente corretto. 

In funzione di ciò, la definizione stessa di fascismo viene riscritta ogni giorno, diventando il contenitore di tutto ciò che è considerato arretrato e non progressista e quasi mai collegato all’ideologia e tantomeno al Ventennio. Per essere antifascisti, e quindi depositari dei diritti elementari, bisogna essere pro-gender, abortisti, atlantisti, europeisti, cittadini del mondo, pro-droghe, femministi, ecologisti (nel senso fanatico della parola), antimilitaristi, antistatalisti, liberisti, atei, antipopulisti e antisovranisti. Qualsiasi devianza da questi concetti è considerata fascista, quindi passibile di ogni giustificata messa al bando o violenza da parte dell’autonominata polizia politica. 

Ma il fanatismo non si ferma qui. L’antifascismo non pretende solo obbedienza, ma anche amore. L’immigrazione, ad esempio, non va solo accettata, ma va voluta a tutti i costi, anche se nasce da situazioni gravi come guerre e povertà. L’aborto, così come il fine-vita, diventano obblighi non scritti e non libertà di scegliere, secondo la prospettiva individualista ed egoista che non vuole che la collettività paghi per il desiderio di maternità o di sopravvivenza di chi non può permetterselo. Gli stessi diritti sociali, che una volta gli antifascisti rossi difendevano coi denti, sono stati associati al populismo e quindi al fascismo, pertanto da abbattere. Persino il no alla droga viene visto con sospetto, nonostante rimanga parzialmente illegale. 

L’antifascismo diventa quindi un controsenso a sé stesso, un nemico dei principi cui molti, se non tutti, partigiani almeno sulla carta si ispiravano. Se da un lato difende il progresso, parlando impropriamente di pericolo medioevo e attaccando senza pietà i concetti di Dio Patria e Famiglia, dall’altro vuole davvero tornare indietro attraverso l’istituzione di un ferreo classismo. 

E qui arriviamo al grande paradosso antifascista, l’antidemocraticità di questo pensiero. Il diritto di voto deve essere subordinato ad alcuni requisiti: essere antifascista, ossia aderire ai pensieri di cui abbiamo parlato prima; possedere una cultura, non essere quindi un rurale o un operaio (leggasi analfabeta funzionale), possibilmente conoscendo i massimi sistemi di economia internazionale; viaggiare il più possibile, possibilmente mollando il lavoro avendo dunque le spalle coperte, oppure trasferirsi direttamente all’estero sputando sul proprio Paese ma ricordandosi di quanto sia bello solo il 25 aprile; non porsi domande e non avere spirito critico, se non su aspetti superficiali e secondari; votare la sola sinistra progressista e liberista, cosicché le elezioni diventino solo uno strumento per provare la fedeltà del popolo obbediente e ligio all’ordine costituito. Nei casi più estremi, l’antifascismo si colloca ancora nell’ambito ribelle, ma non più contro un sistema di cui invece si fa garante, bensì contro la cultura e le abitudini in essere: non aderire ai canoni estetici, ingrassare, non avere cura della propria persona, identificarsi con un animale e altre deviazioni mentali diventano le nuove lotte, che devono essere il centro del vero dibattito. 

Qualora tutto ciò non sia rispettato, le elezioni diventano “un’arma dei fascisti”, viene ricordato che i nazisti salirono al potere legalmente e con elezioni, quindi lo stesso principio democratico viene delegittimato in nome dell’antifascismo. 

Altro punto cardine di questa ideologia è la sua incoerenza interna, figlia del cosiddetto “pensiero relativo”: un’azione o un concetto non sono giusti o sbagliati a priori, ma vengono adattati al contesto. Ad esempio, la famiglia tradizionale viene scoraggiata poiché impedirebbe la realizzazione dell’individuo, soprattutto della donna; quella omosessuale viene invece voluta ad ogni costo. La violenza e l’ingiuria assumono gravità diverse a seconda del destinatario delle stesse, se egli è eterosessuale e/o bianco è meno grave che se fosse di altra etnia e/o orientamento; se le vittime sono invece non aderenti all’antifascismo, addirittura la violenza viene promossa e giustificata. I reati come l’omicidio o il furto vengono perdonati, il saluto romano deve essere punito con la pena di morte o quantomeno l’ergastolo. La libertà dei popoli esotici va difesa, la nostra viene tacciata di sovranismo. La religione cattolica (di cui molti esponenti anche del clero fecero la resistenza) viene continuamente attaccata in nome di una laicità materialista e vuota, leggasi ateismo, mentre le altre religioni e le sette sono difese a spada tratta, i fanatismi altrui vengono sminuiti tirando fuori le crociate e l’inquisizione. 

Da movimento antisistema e anarchico, l’antifascismo diventa un pensiero totalitario e manettaro, denigrando però  al contempo chi chiede la sicurezza dei cittadini. Anche le proteste devono avere il consenso antifascista per essere messe in moto: protestare contro il carovita o contro l’insicurezza deve essere vietato con la forza, le uniche rivolte concesse, anche con gravi danni al patrimonio, devono essere quelle contro comizi, iniziative o feste non espressamente antifascisti. 

Stiamo entrando in una distopia dove non sono più i valori universali a plasmare le ideologie, ma è l’antifascismo a plasmare i valori. Anzi, diventa esso stesso IL valore, una sorta di divinità impersonale che usa vip e influencer miliardari al posto dei sacerdoti, pretendendo sacrifici sull’altare del progressismo, intonando con gioia canti quali Bella Ciao e musica raggae mentre il mondialismo requisisce i risparmi e la casa perché “lo chiedono i mercati”. Ogni distinzione etnica e culturale viene spazzata via, l’individuo viene esaltato al punto tale da essere annichilito e ridotto a mero strumento di consumo che, se non utile al mercato, viene lasciato morire convinto che la sua sia una scelta, le uniche divisioni tra persone saranno in caste rigide. E anche solo essere arrabbiati della bolletta troppo alta, secondo i depositari della verità, sarà equivalente a indossare la camicia nera. 

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