Nel corso di una visita al museo di storia naturale cittadino, è capitato a chi scrive di imbattersi in una tipica rappresentazione grafica della vulgata evoluzionista, secondo la quale l’uomo discenderebbe dalla scimmia. Una sequenza di immagini, di grandi dimensioni (così restano ben impresse nella mente del visitatore), che mostrano il progressivo (e ideologicamente progressista) passaggio dalla scimmia all’uomo. Tutto ciò, ovviamente, senza alcun contributo scritto teso a precisare che, quella rappresentata, è solo l’ipotesi scientifica, detta appunto evoluzionista, fondata sull’idea che il più perfetto derivi dal meno perfetto attraverso le “variazioni genetiche naturali” (determinate dall’adattamento alle nuove necessità) e la “selezione naturale” (la capacità di sopravvivere all’ambiente). Per la verità un precursore dell’ipotesi evoluzionista, il francese Georges Louis Leclerc de Buffon (1707-1788), ipotizzò che le specie esistenti derivassero per degenerazione da poche altre originariamente perfette. Una parabola discendente, dunque, dal più perfetto al meno perfetto (un’anticipazione involontaria del secondo e del terzo principio della termodinamica, legati al concetto di entropia, applicato alla materia vivente).

Un’ipotesi, quella evoluzionista, il cui padre è universalmente considerato lo scienziato inglese Charles Darwin (1809-1882), il quale vide nell’originarsi dell’uomo dalla scimmia, il prodotto casuale delle forze della natura.  Un’ipotesi divenuta vero e proprio dogma scientifico-civile – che su parecchi testi scolastici ancora oggi primeggia incontrastato – da propinare alla gran massa degli uomini e funzionale a due dei pilastri della modernità: la non esistenza di Dio Creatore ed Ordinatore e lo svolgimento della vita come progresso indefinito verso forme migliori.

Un’ipotesi, tuttavia, confutata sia dalla filosofia – il più non può venire dal meno, la perfezione non se la può dare chi non ce l’ha; la finalità delle cose rivela l’esistenza di un’intelligenza che le ha fatte così – sia dalla scienza.

Prima di analizzare in maniera estremamente sintetica le ragioni scientifiche di tale confutazione, ricordiamo che gli evoluzionisti materialisti – la stragrande maggioranza degli evoluzionisti (ve ne sono anche alcuni, pochi, che ammettono l’esistenza di Dio) – fondano le loro ipotesi sull’assunto che la materia, da sempre esistente, si sia casualmente trasformata sino a determinare la comparsa della vita: gli amminoacidi (1) formatisi nel “brodo primordiale” (un ambiente acquatico, saturo di ammoniaca ed idrogeno) che, associandosi casualmente, hanno dato luogo alla comparsa di proteine (2) viventi. Anche in questo caso la filosofia perenne, prima della scienza, smentisce tale assunto.

La materia (3) potrebbe anche esistere da sempre (il che non significa che sia eterna (4)), ma, pure se così fosse, non avrebbe in sé la ragione della propria esistenza, in quanto soggetta a mutamento. La materia è indifferente all’ordine o al disordine, alla quiete o al moto. Se la materia avesse in sé la ragione della propria esistenza, non potrebbe mutare il proprio modo di essere in quanto verrebbe, appunto, meno la propria ragion d’essere. Mutare vuol dire perdere qualcosa di ciò che si era e acquistare qualcosa che non si aveva, per diventare quello che non si era. Ciò che cambia non può, dunque, avere in sé la propria ragione di essere, dal momento che il modo di essere di ciò che è sussistente è la ragione stessa della sua esistenza. Dunque la materia esiste perché causata da un Altro e non da sé stessa, e muta, assumendo le varie forme sotto cui si presenta, in quanto mossa a farlo da una ragione superiore, creatrice e ordinatrice, che si rivela nella complessità e nella finalità delle cose esistenti.

L’impossibilità della materia di passare, da sola e casualmente, da uno stato di minor perfezione ad uno di maggior perfezione è, invece, scientificamente dimostrata dal secondo e dal terzo principio della termodinamica e dal concetto fisico di entropia (indice con cui si misura la degradazione dell’energia in un sistema fisico) ad essi connesso: quando un tipo di energia si trasforma in lavoro, parte di essa viene sempre dispersa sotto forma di calore. Ogni sistema che trasforma l’energia in lavoro tende verso il disordine e la uniformità.

L’entropia esprime, dunque, la tendenza dei sistemi al disordine, alla perdita di forma e complessità.

In forma più leggera e divertente, il comico Beppe Grillo ha così descritto il fenomeno: “se faccio bollire un bell’acquario ottengo una frittura di pesce, ma se raffreddo una frittura di pesce è difficile che ottenga un acquario!”.

A questo punto della trattazione, proponiamo quanto ottimamente scritto da Jean Marie de la Croix nel suo agile libretto “L’evoluzione darwiniana dell’uomo. Ipotesi vera o falsa?” edito da Mimep-Docete.

A proposito delle “variazioni genetiche” il de la Croix scrive: “… Per Darwin le variazioni sono il “materiale” dell’evoluzione, anche se lui stesso non sapeva in qual modo si producessero.

È solo con le moderne conquiste della Biologia cellulare che gli scienziati hanno scoperto che le “variazioni” (o “mutazioni”) sono la sostituzione di una lettera del codice genetico del DNA (4) dovuta a cause per lo più ancora ignote. Queste “mutazioni”, per potersi trasmettere alla prole, devono entrare a costituire le cellule sessuali, il che diminuisce drasticamente la possibilità della loro sopravvivenza. Ebbene, la Biologia insegna che le mutazioni naturali dei Geni possono al più modificare aspetti secondari della specie (come l’altezza degli individui, il colore della pelle, le caratteristiche razziali), ma non potranno mai mutare una specie in un’altra.

Il motivo è che le “mutazioni naturali”, oltre che essere rarissime (poche unità per milione in ogni generazione), sono nella quasi generalità dannose o neutre, ossia “non favorevoli” all’individuo e tendono ad essere eliminate.”

A tale riguardo, l’autore riporta le parole del biologo e genetista Professor Giuseppe Sermonti “A questo punto sorge legittima la domanda: tutte le “variazioni” (o “mutazioni”) che possono avvenire nei Geni del DNA, hanno qualche cosa a che vedere con la “evoluzione” (darwiniana)? Ebbene, la risposta è: no”. Il Prof. Sermonti continua: “Quello di cui la teoria neo-darwiniana ha bisogno sono le famose mutazioni favorevoli (o adattative). Ma di esse non c’è nessuna traccia. Troviamo solo stelle cadenti o mutazioni che producono semplici variabilità. Ma noi cerchiamo un gene “nuovo”, prodotto dalla mutazione … e non uno, ma innumerevoli di questi geni. E questi non si sono mai presentati; come i gravi che salgono: non si sono mai visti!” (G. Sermonti, “Dopo Darwin”, ed. Rusconi).

A proposito, invece, della “selezione naturale” il de la Croix scrive: “L’idea dell’esistenza della “selezione naturale” venne a Darwin osservando le “selezioni artificiali” operate dagli allevatori che, con opportuni interventi, erano riusciti ad ottenere mucche con mammelle più grandi, maiali grassissimi, mele più saporite e dai diversi colori … Quanto più allora – pensò Darwin – può fare la Natura che ha a disposizione mezzi più potenti e tempi lunghissimi?” L’autore ricorre ancora ad una citazione del Prof. Giuseppe Sermonti: “Noi compiamo un grave errore di prospettiva quando confondiamo il valore che un fenomeno ha come strumento di indagine di laboratorio, con quello che ha nel gioco della natura … La selezione è stata uno strumento prezioso nelle mani degli allevatori, ma la natura non si serve di questo strumento e di questi trucchi … Il fatto che essi servano al ricercatore e all’allevatore non significa che essi siano utilizzati dalla natura … Con tondini e cemento si preparano magnifici pali, ma la natura costruisce i tronchi in altro modo. Il mondo vivente non si trasforma con gli strumenti che il genetista adopera nel suo laboratorio o l’allevatore nel campo. Si trasforma in altro modo, e non sappiamo ancora quale”. (G. Sermonti, “Dopo Darwin” ed. Rusconi).

Il de la Croix prosegue con la critica alla “selezione naturale” darwiniana, ricorrendo ai già citati principi della termodinamica (che, ad onor del vero, Darwin non poteva conoscere essendo essi stati enunciati in modo completo nel 1885, ossia dopo la sua morte): “Una seconda critica (questa volta distruttiva) alla ipotesi darwiniana della “selezione naturale” dei viventi che vada da uno stato di minor perfezione ad uno stato di maggior perfezione (…), sta proprio nel fatto che la natura non può da se stessa evolversi in meglio, ma tende irreversibilmente verso il disordine e la uniformità. E questo in base al “secondo e al terzo principio della termodinamica (sopra ricordati), detti di Carnot, ma formulati da Clausius, principi di valore universale che, nel nostro caso, potremmo enunciare come principi della impossibilità della evoluzione (darwiniana). In altre parole, le forme viventi, abbandonate al corso della natura, col passare del tempo tendono a decadere e non a risalire verso il più perfetto. Il termine fisico che designa questa fatale decadenza della materia (anche e soprattutto di quella vivente) è detto “aumento di entropia”, un fenomeno che i fisici e i biologi moderni conoscono bene, sia nelle sue leggi che nei suoi effetti misurabili con precisione matematica.”

Infine, l’autore conclude la critica alla “selezione naturale” darwiniana, con gli argomenti della biologia molecolare: “La grande rivelazione della biologia moderna (che Darwin non conosceva) è che la vita sulla Terra non si è evoluta, col passare tempo, dal semplice al complesso, ma al contrario è apparsa già nella sua massima perfezione. Il DNA che alberga nella cellula di una formica, di un topo, di un elefante, di una scimmia o di un uomo è, negli elementi chimici che lo compongono e nella sua struttura fisica, sempre lo stesso: è, come dicono i biologi, “universale”.

A far sì che dal DNA di una formica venga fuori una formica e che dal DNA di un uomo venga fuori un uomo è la programmazione genetica caratteristica e diversa per ogni specie vivente; una programmazione che esiste fin dall’inizio diversa nella formica e nell’uomo. Le specie viventi nascono già complesse, già “programmate”, anche se ci sfugge come è nata tale programmazione e come essa influisca sulla “forma”finale del vivente.”

La selezione naturale esiste e agisce continuamente, ma SOLO nei LIMITI GENETICI della specie. Per es. certe circostanze favoriscono una percentuale più alta di uomini dalla pelle chiara o scura, oppure di capelli biondi o neri ma non possono portare all’apparire di uomini dalla pelle verde e dagli occhi viola perché tali caratteristiche non sono contenute nel patrimonio genetico della specie. Inoltre, va sottolineato che la selezione naturale essendo legata all’ambiente e al territorio è spesso RELATIVA. Le caratteristiche razziali degli eschimesi sono “evolute” e “superiori” oltre il circolo polare artico ma non lo sarebbero nella giungla africana mentre quelle dei Bantu (la pelle nera che resiste meglio al picchiare del sole, le caratteristiche della sudorazione, ecc) sono vincenti in Africa ma non in Groenlandia.

Seppur esposte in maniera sintetica e non specialistica, le argomentazioni filosofiche e scientifiche sin qui addotte, costituiscono una confutazione della vulgata evoluzionistico-darwiniana ancora sostenuta dalle agenzie della disinformazione, impegnate a promuovere ad ogni livello – soprattutto quello scolastico e mediatico – un’ipotesi scientifica da tempo tramontata ma sempre funzionale a quanti non vogliano ammettere che l’origine della vita e di quanto esiste, lungi dall’essere frutto della cieca casualità, trova la sua ragione in una Causa intelligente che pensa, vuole, crea, ordina e mantiene nell’esistenza quanto esiste. Un’ammissione evidentemente troppo impegnativa, un fardello troppo pesante per via delle conseguenze che comporta, tuttavia verità oggettiva di cui ognuno è chiamato a tener conto al punto di farne il centro della propria esistenza.

Note

(1) Gli amminoacidi sono composti organici di fondamentale importanza perché sono i costituenti di tutte le proteine e perciò anche di tutti gli enzimi e di numerosi ormoni.

(2) Le proteine sono sostanze naturali molto complesse, contenenti carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto e, spesso, zolfo, fosforo e metalli quali il ferro ed il rame. Le proteine contengono lunghe catene di amminoacidi e sono di importanza capitale per tutti i processi vitali.

(3) Nel significato di origine aristotelica e scolastica, materia denota tutto ciò che in un essere rappresenta l’elemento potenziale, indeterminato, in opposizione alla forma che rappresenta, invece, l’elemento della determinazione e dell’attuazione. Secondo il significato più comune, materia è tutto ciò che è esteso e l’insieme dei corpi estesi.

(4) Eterno è ciò che trascende il tempo, ciò che non muta. L’eternità è attribuzione esclusiva di Dio.

(5) L’acido desossiribonucleico (DNA) è responsabile della trasmissione dell’informazione genetica in tutti gli esseri viventi, ad esclusione di quelli nei quali tale funzione è svolta dagli acidi ribonucleici (RNA). Il DNA umano è costituito da 3 miliardi di basi, e più del 99% di queste basi sono le stesse in tutte le persone. L’ordine di queste basi, determina l”informazione necessaria per costruire e mantenere in vita un organismo, nello stesso modo in cui le lettere dell’alfabeto compaiono in un certo ordine per formare parole e frasi.

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