I paesi non hanno bisogno di politici, ma di patrioti. A maggior ragione l’Italia di oggi, squassata da una crisi economica e sociale peggiore di ogni altra del Ventesimo secolo, non ha bisogno di “buoni uomini politici”, ma di veri patrioti.

Per capire però cos’è un patriota, dobbiamo impadronirci di nuovo del concetto stesso di patria, oggi del tutto dimenticato dagli italiani e, in particolare, dai giovani.

Il concetto di patria

La radice etimologica della parola “patria” è il termine latino pater (padre). La patria è dunque definibile come la “terra dei padri”, ovvero dei propri progenitori di cui si ha memoria, o almeno della loro larga maggioranza. Indica dunque la terra che per innumerevoli generazioni ha dato i natali alla stirpe di cui facciamo parte. Questa continuità storica di una stirpe radicata su di un territorio non va intesa, però, solo in senso geografico-spaziale, ma soprattutto culturale, morale e religioso: si tratta di un’identità, dunque, di lingua, idee, capacità, realizzazioni, arte e poesia; di valori e costumi, usi invalsi e tradizioni giuridiche e amministrative; è un’unità infine di fede, di culto, di Chiesa, di vita spirituale. L’appartenenza a una patria non è una scelta: la patria mi è data, o meglio, io le sono consegnato già da sempre, dal luogo e dal tempo – quindi dalla famiglia – in cui sono nato. L’avere una patria si traduce nel rifletterne, nella propria vita, il carattere medio, i talenti, i tratti spirituali di fondo.

Come non è scelta da me, ma mi è data, allo stesso modo la patria non è in nessun modo qualcosa di artificiale e di posticcio, non è costruita volontaristicamente dagli uomini, ma è il risultato, armonioso, anche se non pianificato, della secolare interazione fra un popolo e un territorio: un popolo unito a un suolo, al quale lentamente dà forma con il suo lavoro e il suo genio attraverso innumerevoli generazioni, costituiscono una patria.

Il cristiano non è tale se non rispetta e non riconosce il valore della sua patria, se non ama la sua patria e coloro che insieme a lui ne sono figli. Infatti, le diverse patrie (e non stati o nazioni) in cui è diviso il mondo, e anche il mondo cristiano nel corso della sua storia, non sono il portato casuale delle vicissitudini storiche, ma il risultato dell’azione provvidenziale di Dio nella storia: non è esagerato affatto dire che Dio ha voluto che sorgessero il popolo e la patria italiana, come quella francese, tedesca, inglese, come ogni altra. Dio, il signore della storia, nella sua onniscienza e onnipotenza – attraverso l’operare di molteplici cause seconde – ha disposto che il mondo si dividesse in popoli e patrie distinte, pur nella comune umanità propria a tutti gli individui che li costituiscono. L’universalità della natura umana, della ragione e della vita spirituale, uguali in tutti gli uomini, si è infatti sempre storicamente incarnata nella molteplicità dei popoli, delle diverse patrie. 

Avere una patria significa appartenere in modo essenziale alla terra ed al popolo che ci ha generato ed è cosa che dovrebbe avere in noi una risonanza spirituale paragonabile a quella che proviamo per il fatto di appartenere a una certa famiglia e non ad un’altra. Come è impensabile un uomo che non ha nessuna famiglia, così è impensabile un uomo che non ha patria, o che non ama la sua patria: l’apolidismo rappresenta un vuoto ontologico e spirituale, prima ancora che morale, e appare come una povertà superiore a ogni altra.

Se la patria è essenzialmente legata alla terra (è la terra dove un popolo è sorto ed ha costruito la sua storia e la sua civiltà in una profonda continuità storica), ciò significa che le vicissitudini storico-politiche che travolgono quella terra non ne possono alterare, almeno entro certi limiti, l’identità. Questo fatto significa anche che il concetto di patria non è sovrapponibile perfettamente a quello di Stato, e anzi se ne differenzia nettamente. Lo Stato designa un popolo in quanto si organizza politicamente, si dà certe istituzioni: rappresenta il volto della patria sul piano amministrativo e giuridico. Lo Stato è un aspetto, a volte abbastanza esteriore e superficiale, della ben più profonda vita della patria. I re e le dinastie sono cambiate, le forme di governo si sono succedute, le guerre sono state vinte e perdute, ma la patria non muta, resta la stessa, anche se certi eventi o governanti la possono umiliare o sfigurare, se certe forme di governo sono state migliori e certe altre peggiori.

È però errore gravissimo – oggi purtroppo molto diffuso – confondere patria e Stato, riversando sulla prima l’eventuale giusto disprezzo che si prova per un certo governo, o un certo modo di governare.  Semmai la critica a un governo o l’azione politica ad esso avversa devono essere guidati proprio dall’amor di patria, ovvero proprio dalla constatazione che il tal governo nuoce alla patria, ne danneggia o ostacola la vita, ne diminuisce la forza o la stima internazionale.

Mentre il concetto di nazione designa, in modo più specifico, un popolo come l’insieme degli uomini uniti dalla comunanza di stirpe, il concetto di patria ha al suo centro la terra su cui un popolo vive. Da ciò consegue che la patria è ferita anche da tutto ciò che aggredisce o distrugge il paesaggio e l’agricoltura di un territorio: la bruttezza degli edifici di nuova costruzione, il proliferare, come di tumori, di periferie informi e prive di ogni cura e bellezza, l’industrializzazione dell’agricoltura condotta senza criterio, piallando i campi con monocolture estensive o lasciandoli in abbandono, la distruzione di foreste secolari, gli abusi edilizi lungo le coste, sono altrettanti sfregi al suolo natio, alla bellezza irrecuperabile della patria.

Distorsioni

Vi sono due distorsioni gravissime del concetto di patria proprie dell’età moderna, errori che vanno capiti per poter ricostruire un vero patriottismo. Il primo errore è quello rappresentato dal nazionalismo ottocentesco, figlio della rivoluzione francese e del Romanticismo, che sacralizza la nazione (a partire dal mito della Grande nation), e ne sviluppa una mistica perversa facendo del nazionalismo una sorta di “religione secolare”, religione   perniciosa, retorica e soffocante. Il supernazionalismo sciovinista è la patria assolutizzata come valore ultimo e privata di Dio e della fede cristiana come dimensione a partire dalla quale illuminare anche l’amore per la propria terra, senza farne un feticcio, senza renderla un idolo neopagano. L’evoluzione naturale del nazionalismo ottocentesco sono i pan-movimenti e l’imperialismo aggressivo e conquistatore otto-novecentesco dai tratti neopagani, e intriso di elementi tratti dal darwinismo sociale o biologista: è il tramonto di ogni ius, dell’amore della giustizia, sostituiti dal puro culto della potenza e dall’idea del diritto superiore della forza materiale.

L’altro elemento che ha distorto l’amor di patria, fino ad impedirlo, è l’evoluzione partitocratrica della politica, in particolare nel Novecento. Si tratta di una piaga, in particolare italiana. La centralità innaturale dei partiti nella vita politica delle moderne democrazie porta sia i politici che l’insieme della cittadinanza a dividersi in fazioni incapaci di riconoscere e contemplare il bene comune della patria, e abituati solo a ragionare in termini di successo o insuccesso del proprio partito o della propria ideologia. Il parossismo della partitocrazia lo si raggiunge quando, rinunciando ad ogni cavalleria e onestà intellettuale, si preferisce opporsi al partito “nemico” anche quando le sue proposte meriterebbero di essere appoggiate, perché oggettivamente vantaggiose per la patria. È questa una piaga soprattutto italiana, perché all’estero, mediamente, si tende a manifestare un più deciso amor di patria, anche oltre il colore della propria appartenenza partitica.

Manifestazione della pietas

Secondo la lezione dei classici, ripresa da San Tommaso d’Aquino, l’amor di patria è una delle più importanti manifestazioni della pietà (la pietas romana), nel dovere cioè di amare i genitori (e, più in generale, tutti i superiori e le autorità), la patria e Dio.  Anche se è evidente che si tratta di tre amori di importanza e di natura in parte differente, è altrettanto evidente che vi è un elemento che li accomuna tutti, e precisamente il fatto di essere forme d’amore rivolte verso ciò che ci ha generato, ciò a cui siamo debitori della vita, dell’educazione, del sostentamento. Esplicitazione perfetta di queste tre manifestazioni della pietà, è il motto più importante della tradizione cattolico-romana: Dio, Patria, Famiglia

L’amore verso la patria si traduce in un particolare ossequio e in un profondo e convinto assoggettamento ad essa ed alle sue esigenze, paragonabile a ciò che i figli devono provare verso i genitori: infatti il quarto comandamento – che ci ordina di onorare il padre e la madre e che vale anche per la patria e per le autorità pubbliche – non ci chiede solo di “amarli”, perché è un obbligo per tutti amare di un amore di benevolenza tutti gli altri uomini (e anche i propri nemici), ma ci chiede, oltre all’amore, di onorarli in modo particolare, con un’intima sottomissione del cuore, della volontà e della mente, con una delicatezza e un rispetto  profondi e particolari, che non si possono provare per nessun altro.  Allo stesso modo, appunto, anche la patria non va solo amata, ma intimamente onorata, come se fosse, quale in effetti è, una nostra silenziosa, nobile e antica madre, meritevole del più delicato rispetto ed affetto.

Conclusione

Il mondialismo culturale e politico, con le sue ideologie utopistiche e astratte; la globalizzazione economica; il terrificante tritacarne dei popoli rappresentato dall’immigrazione di questi ultimi decenni; l’imporsi di mode e di consumi alimentari e culturali omogenei a livello internazionale; il dilagare della pseudo-cultura del web; la lenta, ma inesorabile, edificazione della respublica universale massonica; l’odio della grande finanza usuraia per i popoli e per qualsiasi identità nazionale forte; il crescere della perversa cultura planetaria dei diritti dell’uomo e, infine, la ragnatela tecnocratica e “scientificolatrica” che sta avvolgendo nelle sue spire totalitarie il mondo e i popoli, possono trovare un freno solo in una riscoperta profonda e convinta della propria patria ed in un convinto e rinnovato amor di patria.

Solo la patria, la famiglia e la Chiesa hanno la capacità di fondare e giustificare una concezione della vita come sacrificio e slancio eroico a favore  di realtà che valgono più della nostra esistenza individuale e che sole sono capaci di far passare l’uomo dallo stato selvaggio (in cui i desideri  soggettivi strabordano non più frenati da nessun valore superiore, fino a rendere impossibile la vita sociale), allo stato di grande civiltà (dove i desideri e le passioni individuali sono disciplinati e posti al servizio della comunità di destino di cui si fa parte). E non va mai dimenticato che l’uomo è veramente tale solo là dove qualcuno lo chiama dall’alto a divenire se stesso proprio sacrificando se stesso, obliandosi luminosamente nell’estasi di un’azione veramente eroica, e purificando la miseria del proprio cuore nell’incandescenza di un vero amore per Dio e per la Patria.

Matteo D’Amico

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