Di norma la parola sovranità significa: potere originario e indipendente da ogni altro. Sul significato di questo termine, molto ricorrente in ambito politico e non solo, riteniamo sia opportuno fare qualche precisazione.

Sovranità nazionale, sovranità dello Stato, sovranità popolare: cosa significano queste espressioni? Soprattutto di questi tempi – contraddistinti dall’arrogante azione del potere mondialista, che tende ad omologare i popoli trasformandoli in massa amorfa e a far tabula rasa delle identità storiche delle nazioni – la rivendicazione delle sopracitate sovranità è il cavallo di battaglia di coloro che si oppongono al diktat mondialista in nome dell’amor di patria e della propria identità.

Dunque il mondialismo – oggi espressione massima della Sovversione – sarebbe la negazione del principio di sovranità applicato al popolo, alla nazione ed allo Stato?

Eppure la sovranità popolare è ancor oggi il concetto su cui si fonda la democrazia moderna, anch’essa frutto e strumento della Sovversione.

In effetti l’idea di sovranità popolare, che sta alla base della democrazia moderna, è certamente di matrice sovversiva – ossia radicalmente contraria all’ordine stabilito da Dio – in quanto consiste nella pretesa di essere assoluta, ovvero totalmente indipendente e svincolata da ogni riferimento superiore e trascendente: in sostanza, indipendente da Dio e dalla Sua legge.

Secondo questa interpretazione della sovranità, il potere è tutto nelle mani del popolo dalla cui volontà, espressa dalla maggioranza, dipende ogni decisione in ordine alla vita del consorzio umano e di tutto ciò che lo interessa, compreso lo stabilire cosa sia bene e cosa sia male senza alcun vincolo all’infuori appunto della propria volontà.

La parola sovranità andrebbe, dunque, ben soppesata ed utilizzata dai militanti del fronte contro-sovversivo in maniera scevra da ogni contaminazione sovversiva.

La retta concezione della sovranità – applicata al popolo, alla nazione e allo Stato – dovrebbe consistere, infatti, nel non considerarla come un assoluto, bensì come un valore relativo che trova il suo limite in Dio e nell’ordine da Egli stabilito, dal quale deriva quell’etica naturale e cristiana che deve informare tanto la vita dei singoli quanto l’ordinamento civile delle nazioni.

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