La famiglia reale inglese piange la morte del principe Filippo. Chi era costui?

La carità cristiana non può offuscare quel senso di giustizia senza il quale si fa un torto a chi le ingiustizie le ha subite e persino a chi le ha perpetrate perché, senza nessuno che gliele imputi, il colpevole non avrà modo né di pentirsi né di redimersi.

Ai reali d’Inghilterra nessuno ha mai imputato nulla.

La realtà di una monarchia feroce è da decenni coperta dal pettegolezzo sciatto delle cronache dei rotocalchi, dai commenti frivoli su divorzi e tradimenti, dalle fesserie barbaradursiane sugli abiti della regina o sulle idiozie della etichetta di corte.

Quasi nessuno va oltre il pettegolezzo, il sentito dire, l’aneddoto.

La morte di Filippo dà modo a noi di Praesidivm di scrivere ciò che altrove non troverete e di illuminare un po’ la figura di un uomo molto alto e molto piccolo.

Costui, nato principe di Grecia, prima del gran matrimonio, abiura la fede ortodossa e rinuncia ai titoli greci. Sposa, nel 1947, Elisabetta II. Gran gaffeur, Filippo fu un cafone inarrivabile.

Fin qui gli elogi.

Massone di altissimo rango, misantropo di vasta idiozia, dichiarò che avrebbe voluto essere un virus per eliminare gran parte della popolazione mondiale.

Fu degno consorte di colei che, negli anni Cinquanta, firmò la condanna a morte per impiccagione di giovani e giovanissimi patrioti ciprioti, rei di cercare la libertà.

Sua Maestà non ebbe pietà nemmeno dei bambini. Torturati nelle prigioni di Nicosia, oggi è possibile visitare le loro tombe, le “filakismena mnimata” (tombe imprigionate). La nonnina dagli abiti color pastello, adottò metodi da terrorista non concedendo quasi mai alle famiglie la salma dei giovani trucidati per suo ordine.

Tra i tanti mi piace rendere omaggio a Prodromos Xenofondos, anni diciassette al momento del martirio. Viene torturato dagli inglesi che gli strappano le unghie e gli mettono la testa in una morsa di ferro, spaccandogliela.

Voglio ricordare anche Grigorios Afxendiu che riesce a far fuggire i suoi commilitoni dopo ore di combattimento.

Al suo rifiuto di arrendersi, gli inglesi inondano di benzina la grotta dove si trova e lo bruciano vivo. I suoi genitori escono dall’obitorio, dopo aver riconosciuto la salma e, per spregio verso gli assassini del figlio, ridono loro in faccia. Spiace non ricordarli tutti e 108.

Spiace non ricordare come si converrebbe il giovanissimo poeta, l’agronomo che preferì la morte ai soldi degli inglesi, la giovane donna incinta e i suoi figli, uccisi per aver protestato per l’arresto di un bimbo di cinque anni, il coraggioso che scrisse alla madre di essere felice di aver avuto un figlio che si immolava per la Grecia e l’impiegato statale che si assunse la responsabilità della morte di un traditore greco e, per non far giustiziare un commilitone, accettò di salire lui sul patibolo.

Filippo Gluecksburg (questo il vero nome) che con quella gente, per nascita, avrebbe dovuto condividere tutto, assistette senza fiatare alla mattanza.

Lui, destinato a divenire re di Grecia, ma non greco di sangue, fu nemico acerrimo dei greci e complice dei loro persecutori. Nascere in un Paese non significa appartenergli e tantomeno amarlo. Sono ben altri i legami che ci legano ad una terra. Filippo è un esempio lampante.

Colui che oggi il mondo piange come il discretissimo marito di sua altezza reale, fu un uomo da nulla: fu complice anche della sottrazione dell’oro consegnato agli inglesi dal governo greco in esilio ad Alessandria d’Egitto. Promisero di restituirlo. Non lo fecero mai.

E mai una parola da parte di Filippo! Sempre in silenzio, sempre dalla parte sbagliata! Sempre vergognosamente complice!

Che Dio ne abbia pietà!

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