È ignota alla stragrande maggioranza degli Italiani la tragica fine di Mauricio Borgonovo-Pohl, di origine brianzola. Nato nel 1939, era figlio di Sara Pohl e di Maurizio Borgonovo, emigrato da Monza a El Salvador negli anni Trenta, creatore di una fabbrica di caffè poi diventata una delle imprese più importanti del piccolo stato centroamericano.

Il giovane Mauricio si era laureato ingegnere meccanico nell’istituto tecnologico di Boston e si era sposato con una donna anch’essa di sangue italiano, Patricia Baldocchi Dueñas, divenendo padre di due figli; aveva però deciso di dedicarsi alla politica, dapprima ricoprendo un incarico al ministero degli Esteri, poi assumendo la presidenza dell’ente portuale e, infine, la carica di ministro degli Esteri nel 1972. Fautore di politiche riformiste, nel 1973 Francisco Franco gli conferì la Gran Croce dell’Ordine di Isabella la Cattolica. 

El Salvador, il più piccolo stato continentale dell’America Latina fu teatro, dall’inizio degli anni Ottanta sino al 1992 di una delle più sanguinose guerre civili che la storia recente ricordi. La vittoria del movimento sandinista in Nicaragua nel 1979 aveva determinato i vari movimenti marxisti salvadoregni a trovare un accordo per costituire un unico fronte di lotta per la conquista del potere, in ciò spinti dalle precise richieste di Fidel Castro. Fu infatti all’Avana nel 1980 che si svolse la prima riunione che portò alla successiva riunificazione operativa.

Il Líder Máximo era già in strettissimo contatto con uno di questi gruppi, le FPL (Fuerzas Populares de Liberación), capitanate da Salvador Cayetano Carpio, il quale poi divenne comandante del FMLN (Frente Farabundo Martí de Liberación Nacional), la sigla che unì tutti i vari gruppi dell’estrema sinistra.

Carpio, conosciuto anche come il Comandante Marcial o anche come l’Ho Chi Minh dell’America centrale, era un vecchio amico di Fidel Castro e fu il primo vero contatto della realtà rivoluzionaria di El Salvador con Cuba. Addestrato ideologicamente in URSS nella Scuola Superiore del PCUS, poi passato anche per Pechino, stalinista ortodosso e sanguinario, aveva militato fin da giovane nel Partito comunista ma ne era uscito nel 1970 aderendo alle idee rivoluzionarie dei fratelli Ortega, spalleggiando il Sandinismo e fondando nel 1970 le FPL, un movimento che si rese protagonista di innumerevoli atti di violenza, sequestri, rapine e omicidi.

Fu proprio un loro commando, il 19 aprile del 1977, a penetrare nell’abitazione della famiglia Borgonovo per sequestrare il ministro. Non trovandolo, aveva catturato i genitori minacciandoli di morte fino a che il figlio, avvisato di ciò, non si presentò a casa consegnandosi ai rapitori.

Custodito in una “prigione del popolo”, per il suo rilascio i terroristi richiesero al governo la scarcerazione di 37 detenuti ma il presidente della repubblica, Arturo Armando Molina, su pressione dei militari, non intese trattare.

A nulla valsero l’intermediazione di Paolo VI e quella del segretario dell’ONU Kurt Waldheim; né le strazianti invocazioni della famiglia.

L’11 maggio il cadavere di Borgonovo fu ritrovato in un fosso ai margini dell’autostrada, a una decina di chilometri dalla capitale, ammazzato con tre colpi di pistola nella nuca.   

Questo e altri tragici fatti avvenuti per tutta la seconda metà degli anni Settanta furono prodromici allo scatenarsi, dal 1981 in poi, di successivi tentativi di presa del potere da parte della guerriglia comunista, largamente appoggiati e finanziati da Cuba, ma frustrati sia dalla determinazione delle Forze Armate sia dal mancato appoggio popolare.

Nel 2000, a Panama, in occasione di una seduta dell’Organizzazione degli Stati Americani, accusato da Fidel Castro di proteggere e ospitare nel Salvador un Cubano autore di atti di terrorismo contro il governo dell’Avana, il presidente Francisco Flores rispose con queste parole: Signor Castro, è assolutamente intollerabile che essendo stato lei coinvolto nella morte di tanti Salvadoregni, e dopo aver addestrato moltissime persone a uccidere Salvadoregni, accusi il nostro governo di proteggere atti di terrorismo. El Salvador ebbe la triste realtà di essere scenario dell’ultimo conflitto di guerra fredda nel nostro continente di cui URSS, Cuba e Nicaragua, così come gli Stati Uniti, ne furono responsabili”.

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