Puoi sintetizzarci che cosa è il “Progetto Donbass”? Da dove ha avuto origine e di cosa si occupa?

L’intenzione di rilanciare delle iniziative rivolte all’Italia è nata a Donetsk sul finire del 2019. Fin dallo scoppio della guerra ci siamo impegnati sui fronti dell’informazione e della solidarietà facendo costantemente spola tra l’Italia e l’Ucraina dell’Est, ma col passare del tempo l’interesse mediatico e l’impegno di alcuni dei nostri primi collaboratori sono iniziati a venir meno. Per noi invece aumentava sempre più la consapevolezza che le conferenze in Italia e le missioni umanitarie nelle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk erano soltanto l’inizio della nostra attività, così abbiamo deciso di trasferirci in pianta stabile in Donbass per condividere con questo popolo la vita quotidiana, le paure e le speranze, ma anche per dimostrare a noi stessi che le nostre convinzioni erano abbastanza forti da superare i sacrifici causati dal contesto bellico.

Progetto Donbass è uno degli strumenti che ci stanno permettendo di condividere la nostra esperienza e proseguire nella nostra missione di informazione e solidarietà.

Foto di Vittorio Nicola Rangeloni

Negli ultimi giorni girano diverse notizie di movimenti di truppe e nuove schermaglie tra NATO e Russia attorno al territorio del Donbass. A fronte della tua conoscenza e esperienza sul campo, cosa puoi dirci? Cosa pensi accadrà nei prossimi mesi sul fronte del Donbass?

Nonostante dal Febbraio del 2015 sia in vigore un accordo per il cessate il fuoco, la tregua non è mai stata rispettata e il conflitto, seppure a bassa intensità e senza significativi spostamenti della linea del fronte, è proseguito mietendo vittime tanto tra i militari quanto tra i civili.

Da oltre un mese, però, si sono intensificati gli scambi di artiglieria, soprattutto da parte ucraina verso le posizioni della Milizia Popolare e i villaggi più esposti. Erano anni che non si registrava una tale attività. Kiev sta muovendo alla luce del sole truppe, armamenti e veicoli militari verso le Repubbliche Popolari e la Crimea. I vertici politici e militari ucraini, forti del sostegno statunitense, continuano a dichiarare di voler di riaccendere le ostilità su larga scala per riconquistare i territori perduti. Di conseguenza anche la Russia ha rafforzato la sua presenza militare in Crimea e nella regione di Rostov ed è pronta ad intervenire per difendere la penisola, ormai parte della Federazione Russa, e le due Repubbliche, dove oltre 600mila persone hanno già ottenuto il passaporto russo.

Non serve certo un esperto di strategia militare per capire che gli ucraini hanno completamente perso qualsiasi vantaggio derivante dall’effetto sorpresa di un’eventuale offensiva. Per questo motivo, contrariamente a quanto scrive e sostiene chi il Donbass lo ha visto solo su Google Maps, non credo che siamo di fronte a un’imminente guerra su vasta scala. Kiev non è nelle condizioni di riconquistare Donetsk, Lugansk e Simferopoli e non credo nemmeno che sia questo l’obiettivo di questo recente aumento della tensione. Si vuole invece provocare Mosca e magari costringerla a un intervento diretto, così da poter poi gridare all’aggressione. Consiglio perciò di inscrivere questo conflitto nella cornice del più vasto confronto tra Russia e Stati Uniti.

Foto di Vittorio Nicola Rangeloni

Perché pensi che la questione del Donbass vada oltre la mera questione di un confronto militare e territoriale tra Ucraina e Russia?

Il Donbass è l’epicentro caldo di una persistente Guerra Fredda tra la Russia e gli Stati Uniti. Se si vuole mettere pressione su Mosca, lo si fa a partire da lì.

Il Governo ucraino sta portando avanti questa guerra fratricida contro i suoi stessi interessi e per dimostrarlo è sufficiente ripercorrere la genesi del conflitto. Mentre a Kiev si accendevano le proteste contro l’allora Presidente Janukovich, sul palco di Euro-Maidan si avvicendavano personaggi come il Senatore repubblicano John McCain o l’Assistente Segretario di Stato per gli Affari Europei ed Eurasiatici Victoria Nuland. I leader dell’opposizione ucraina coordinavano la protesta insieme all’ambasciatore statunitense Goeffrey Pyatt. E questo era solo il preludio di un’inversione geopolitica da parte dell’Ucraina, che ad oggi è il braccio armato degli interessi atlantici contro la Russia.

L’obiettivo – peraltro riuscito – è quello di portare avanti la strategia del contenimento, isolare la Russia, logorarla dall’interno e dividerla dal resto dell’Europa. A tal fine la tensione in Donbass deve perdurare, non certo essere risolta, perché utile a ricompattare gli “alleati” occidentali tra le fila degli Stati Uniti in un momento di estrema incertezza internazionale.

Washington deve ad ogni costo impedire il completamento dei lavori del North Stream 2 e vietare la produzione e la somministrazione dei vaccini Sputnik V in Italia e nel resto del continente. Per riuscirci serve offrire all’opinione pubblica il costante spauracchio della presunta minaccia russa.

In questo senso va letta anche la recente spy story all’italiana che coinvolto il capitano di fregata Walter Biot, una la plateale – e mediatica – dimostrazione di fedeltà del nostro Paese agli “alleati” d’oltreoceano.

Foto di Vittorio Nicola Rangeloni

Quali sono i vostri progetti per il futuro?

Dal 2014 collaboriamo col reporter di guerra Vittorio Nicola Rangeloni e a breve rientrerà anche lui in Italia, perché è prossimo alla pubblicazione un libro nel quale racconta tutto il conflitto attraverso la sua esperienza personale. Da maggio a giugno e poi ancora in Autunno – ovunque si potrà e con chiunque vorrà – gireremo lo Stivale per presentare il libro, rivedere i vecchi amici che ci hanno sempre sostenuti e dare vita a nuove collaborazioni, nonché presentare i nostri prossimi progetti.

Quando a Kiev si consumò il colpo di Stato e l’esercito ucraino iniziò a muovere guerra contro le sue stesse regioni orientali, noi eravamo poco più che ventenni e non c’era nessuna testata giornalistica di contro-informazione in grado di mandare dei reporter sul campo, così come non c’era nessuna associazione capace di coordinare la consegna di aiuti umanitari da parte di volontari italiani nei villaggi che si affacciano sulla linea del fronte. Con le nostre scarse risorse abbiamo provato a colmare questo vuoto e ora – dopo 8 anni di impegno per e nel Donbass – vogliamo mettere a disposizione la nostra esperienza per creare queste strutture necessarie e continuare a fare la nostra piccola parte in questi conflitti.

Articolo precedenteCome vede l’Italia attuale un italiano all’estero
Articolo successivoOberdan Sallustro, assassinato dai marxisti e cancellato dalla memoria collettiva italiana