L’uomo nuovo è apparso al teatro Ariston di Sanremo e la sua essenza non è la “mascolinità stereotipata” dell’uomo “che non deve chiedere mai”, ma “una verità fragile e bellissima della natura umana, la generazione della fluidità di genere, dell’abbattimento delle barriere. La sua nuova filosofia è espressa nelle parole del nuovo Adamo, Achille Lauro: “Esistere è essere. Essere è diritto di ognuno”.

Tutto molto bello – è Open, il profeta di questo avvento, a dircelo e a definirne i contorni – tutto molto anticonformista, visto che i veri “uomini liberi” sono Damiano, Alessandro, Achille e Federico, uomini liberi e quindi “universalmente erotici”.

E se lo sono loro, vuol dire che gli altri, i “maschi stereotipati”, liberi non sono.

Parole in libertà, segmenti di cretinaggine. Che trovano la loro sintesi in un concetto talmente bislacco e inutile che nemmeno nelle zuccherose sentenze dei Baci Perugina potrebbe trovare alloggio.

Se uno nella sua esistenza “è” – coniugazione di essere – un povero cretinetti, costui non “ha” “non ha” il diritto di esserlo, semplicemente perché lo è e basta; caso mai sono i suoi interlocutori che potrebbero vantare un “diritto” o perlomeno un’aspettativa nei suoi confronti, ossia attendersi da lui un qualche miglioramento per il bene comune.

E nessuno vuole nemmeno togliere a costui il diritto di manifestare la sua cretinaggine (il suo modo di “essere”) vestendosi come un gallinaccio o di profferire idiozie. Ma se “essere” è un diritto questo allora deve valere per tutti, e quindi anche per chi, sentendosi offeso da certe performance, soprattutto quando insozza simboli amati, magari rivendichi il “diritto di essere” molto incazzato e decida di passare alle vie di fatto contro chi le pratica.

Ma si rischierebbe di finire in una rissa generalizzata. Ecco perché la temperanza, la prudenza, nei comportamenti, nel linguaggio, nelle manifestazioni esteriori è sempre stata predicata. Non per bigotteria ma per assicurare un minimo di tranquillità sociale. È vero che le capacità reattive nella nostra società si sono molto smorzate, ma non si può mai sapere.

Piuttosto, è da sottolineare che questo “homo” è tutto tranne che “libero” e men che meno “nuovo”. La sua pretesa esibizionistica lo fa ostaggio del suo travestimento e della sua vanità, ciò che lo rende schiavo di essi; quella che oggi è chiamato soavemente gender fluid è semplice promiscuità sessuale o bisessualismo, vecchio come il mondo e tipico di ogni società decadente; quella che qualcuno chiama “arte” altro non è che la riproposizione della “merda d’artista” inscatolata in barattoli di latta, mercanzia buona a far squittire di divertito stupore i fessacchiotti di turno.

L’“universalismo erotico” non esiste; è il ridicolo tentativo di imporre come canone un concetto di pura tendenza egocentrica, intimistica, individuale.

L’unica cosa veramente “universale” e sentita da tutti è invece la sana, poiché vitale, attrazione che i due sessi hanno fra di loro – di cui è parte essenziale la virilità che i fessi definiscono “stereotipata” – laddove l’erotismo Open, gabellato come nuova forma di mascolinità è semplice metastasi del peggior romanticismo.

Esattamente come l’arte intimistica o concettuale, che è tutto fuorché universale, dato che si sbarazza di obiettivi canoni di eleganza, sensatezza, bellezza, diventando mangime di sette e conventicole pseudo-culturali, col loro beante seguito di utili idioti pronti a qualsiasi sgangherata tesi interpretativa.

Pronti a definire ”verità fragile e bellissima della natura umana” la più puzzolente delle scoregge.

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