Il 21 gennaio del 1921 nasceva a Livorno il Partito Comunista d’Italia da una scissione del Partito Socialista Italiano guidata da Amadeo Bordiga, Onorato Damen, Bruno Fortichiari, Antonio Gramsci, Umberto Terracini e Nicola Bombacci.

Di queste figure, la più “boicottata” dai libri di storia è sicuramente quella del romagnolo “Nicolino”, il quale terminò la sua esperienza terrena il 28 aprile 1945 a Dongo, al fianco dell’amico di innumerevoli battaglie: sua eccellenza Benito Mussolini. Il suo cadavere venne esposto a piazzale Loreto assieme a un cartello recante la dicitura di “super-traditore”. Per comprendere come uno dei padri fondatori dell’ideologia comunista italiana sia arrivato a morire per la Repubblica Sociale Italiana, attirandosi questo orribile ed ingiusto soprannome, occorre tornare indietro di svariati anni.

L’avvicinamento ideologico di Bombacci al Fascismo iniziò il 16 Novembre 1922. È bene sottolineare come Bombacci e Mussolini si conoscessero fin dalla giovane età, provenendo entrambi dall’ideologia socialista romagnola.)

Poco più di un anno dopo la fondazione del PCI, Mussolini tenne un discorso presidenziale ove affermò di voler tornare ad interagire con l’Unione Sovietica sia in ambito diplomatico che economico (in Europa ciò non accadeva più dai tempi della Rivoluzione d’ottobre).

Il 30 novembre 1923, in un tumultuoso discorso alla Camera dei deputati, “Nicolino” (ancora esponente del PCI) riconobbe al Duce i meriti di un così netto e “sfacciato” avvicinamento alle esigenze delle popolazioni sovietiche e italiane, elogiando in particolar modo l’operato svolto dal capo del Fascismo verso il ristabilimento dei rapporti di tipo commerciale ed economico tra Italia e Russia. Quasi inutile è sottolineare come questo intervento non piacque affatto agli altri esponenti comunisti presenti quel giorno alla Camera.

Il 1924 fu l’anno dell’ascesa politica di Iosif Stalin. Fu da quell’occasione che Bombacci iniziò a rendersi conto di come l’ideologia comunista stesse venendo progressivamente sventrata dal bolscevismo e dal suo attuale leader. Per il politico romagnolo, era evidente come l’operato anti-rivoluzionario del dittatore georgiano stesse tradendo ciò per cui lui, al fianco di Lenin, aveva duramente combattuto. Nella mente di Bombacci iniziò a farsi strada sempre più rapidamente l’idea che solo il Fascismo, diretta evoluzione del socialismo, con le sue politiche autarchiche e corporativistiche, potesse rappresentare l’unica salvezza per la classe operaia ed i lavoratori tutti.

Fu in quegli anni che il “comunista in camicia nera” venne espulso da partito che lui stesso aveva contribuito a fondare, con l’accusa di “indegnità politica”. Non era certo un segreto che “Nicolino” non condividesse affatto la poca lungimiranza del partito, da sempre troppo utopico e distante dai reali interessi sindacali.

Nel 1929, nell’URRS partì per volere di Stalin un processo di industrializzazione forzata che mise gli operai russi in condizione semi-schiavile, al pari dei peggiori regimi capitalistici. L’ideologia che aveva animato la Rivoluzione d’ottobre era ormai stata sepolta. Il fascismo per Bombacci divenne irrevocabilmente l’unico metodo per portare a compimento quelle istanze socialiste in grado di opporsi alle politiche capitalistiche occidentali.

Nel dicembre del 1933, scrisse una lettera per Mussolini nella quale lo elogiava di essere “l’interprete fedele e felice di un nuovo ordine politico ed economico che nasce e si sviluppa col decadere del capitalismo e con la morte della socialdemocrazia.” E concluse dichiarando “la sua completa disposizione, felice di servire la causa.”

Dopo svariate lettere di carattere elogiativo, nel 1937 fu affidato al comunista pentito il compito di fondare e dirigere una rivista (finanziata dal governo fascista) intitolata “La Verità.” Bombacci si impegnò nel riportare l’aspetto profondamente anti-capitalista dell’Italia Fascista, unico argine contro l’imperialismo delle società occidentali e dell’ormai corrotta Unione Sovietica. La rivista svolse la funzione di indicare a tutti i comunisti delusi dal fallimento dell’esperimento sovietico la “redenzione” ed il proseguo della lotta operaia al fianco della “rinnovata” ideologia fascista. In uno dei numeri de La Verità comparvero infatti le seguenti dichiarazioni: “…Abbiamo fede che Mussolini continui sotto il Fascio littorio, in circostanze così profondamente diverse, quell’opera di redenzione economica e di elevazione spirituale del Proletariato italiano, che i socialisti della prima ora avevano iniziato…”

Il 10 giugno del 1940 l’Italia entrò ufficialmente in guerra a fianco delle potenze dell’Asse. Bombacci ipotizzò che fosse l’occasione perfetta per schiacciare militarmente ed economicamente le plutocrazie capitaliste che avevano preso le redini delle corrotte democrazie occidentali. Nella guerra vide la via più immediata per la salvezza della classe operaia, seguita dal successivo instaurarsi nel resto dell’Europa di regimi ideologicamente fondati sulla “terza via.” Bombacci anche in quell’occasione sostenne fermamente quel suo tratto da nazionalista rivoluzionario, il quale avrebbe potuto portare a compimento, tramite il fascismo, gli aspetti più puri di quel socialismo tradito.

La guerra non andò come Bombacci sperava, il 25 luglio del 1943 Mussolini venne deposto e fatto arrestare.

Il 12 settembre del 1943 un commando di militari nazisti liberò il Duce da Campo Imperatore. Scortato a Monaco, tenne un discorso ove proclamò che il nuovo stato si sarebbe basato sul culto del lavoro, in opposizione alle plutocrazie mondialiste. Il fascismo aveva finalmente gettato il lato conservatore acquisito durante il ventennio per tornare ad uno più rivoluzionario e sociale, più simile a quello “Sansepolcrista” della prima ora. Per fondare il nuovo stato, Mussolini si circondò delle persone a lui più leali, la maggior parte delle quali avevano condiviso con lui l’esperienza socialista, e non potè certo mancare Nicola Bombacci. Nicolino, noncurante di scegliere lo schieramento politico e militare più vantaggioso, mise ancora una volta la sua vita al servizio dell’ideale socialista, quello stesso ideale che aveva condiviso con l’amico d’adolescenza Benito, e che gli parve tornato più forte che mai.

Il contributo maggiormente significativo che Bombacci diede alla Repubblica Sociale fu quello di donare all’Italia il provvedimento più socialista di tutta la sua storia: “La socializzazione delle imprese”, approvata definitivamente il 12 febbraio del 1944 dal Consiglio dei ministri. Il testo prevedeva di responsabilizzare totalmente i lavoratori, liberandoli dalla condizione semi-schiavile nella quale i capi d’industria li avevano fatti sprofondare con il protrarsi della guerra. La riforma non eliminava la proprietà privata, bensì la redistribuiva su base meritocratica. Ogni entità produttiva iniziò così ad appartenere ad ogni dipendente dell’industria, spezzando irrevocabilmente l’opposizione nociva fra padrone e dipendente. Era previsto inoltre che tutti gli impiegati nel processo produttivo sarebbero stati coinvolti in prima persona nella distribuzione del reddito. Con questa riforma, Bombacci contrastò la dottrina capitalista, che sottoponeva il lavoratore al giogo del padrone, e quella comunista garantendo l’esistenza della proprietà privata.

A Genova, il 15 marzo 1945, di fronte a circa 30.000 persone, Nicolino tenne il suo ultimo discorso prima della capitolazione definitiva della Repubblica Sociale. Si rivolse alla folla dicendo che “il Socialismo non lo farà mai Stalin, ma lo farà Mussolini.” Terminato il suo discorso parlò ancora ribadendo che “se mi trovo fra le file di coloro che militano nella Repubblica Sociale Italiana, è perché ho veduto che questa volta si fa sul serio e che si è veramente decisi a rivendicare i diritti degli operai.”

Alle ore 17:48 del 28 aprile del 1945, Bombacci, catturato dai partigiani, fu fucilato sul lungolago di Dongo. Con lui perirono anche altri gerarchi fascisti, fra i quali Mezzasoma, Pavolini e Liverani. Come riportato da Giampaolo Pansa ne “Il sangue dei vinti”, Nicolino, di fronte al plotone d’esecuzione, levò al cielo il suo ultimo grido.

“VIVA IL SOCIALISMO, VIVA MUSSOLINI!”

Articolo precedenteEnoch Powell e “i fiumi di sangue”: il profetico discorso contro l’immigrazione di massa
Articolo successivoIl ritorno dello stregone: il lato oscuro della sovversione