Il progresso tecnologico e il destino dell’uomo

Il progresso tecnologico e il destino dell’uomo – Con una certa frequenza si sente parlare del futuro che ci aspetta, in considerazione dell’impatto che avrà sulla vita di ognuno l’enorme progresso tecnologico che pone l’umanità di fronte a novità sconvolgenti. 

In particolare, si parla di un futuro in cui il lavoro dell’uomo finalizzato alla produzione di beni di consumo a scopo di lucro – cosa che riguarda la stragrande maggioranza degli uomini – non sarà più necessario. E qualcuno si domanda: che ne sarà, allora, degli uomini? 

Giorni or sono è capitato di sentirne parlare alla TV, e con toni quasi apocalittici. A farlo è stato uno di quei giornalisti preposti a condizionare il pensiero – almeno su di un piano superficiale ed emotivo – della cosiddetta “gente comune”, ovvero di coloro che, per svariate ragioni (spesso giustificabilissime), non hanno la possibilità di approfondire il significato di determinati argomenti, venendosi di fatto a trovare in balia di propagatori di fesserie a buon mercato.

Quella posta ad inizio articolo è una domanda che – anche in considerazione dello stato confusionale in cui versa buona parte dell’umanità, soprattutto quella dei paesi maggiormente avanzati sul piano tecnologico e arretrati su quello spirituale – impone una riflessione sulla natura ed il senso della vita umana. Giusto per capire se l’uomo esista solo in funzione del lavoro, in particolare del lavoro così come dalla rivoluzione industriale in poi è stato concepito. 

L’uomo è un essere dotato di intelligenza e di volontà, due facoltà che lo differenziano da tutte le altre creature composte di materia e forma, nobilitandolo. Grazie a queste facoltà superiori, l’uomo è in grado di dominare – non in senso assoluto (l’esperienza lo dimostra in maniera molto evidente) – o quantomeno di controllare ciò che esiste accanto a lui. Addirittura egli ha la capacità di inventare e costruire complicatissimi oggetti che ritiene possano essere, in qualche modo, utili alla conduzione della propria esistenza. 

L’intelligenza umana può fare grandissime cose, ed il progresso tecnologico è lì a dimostrarlo. Ma la grandezza dell’intelligenza umana, si misura solo sulla base dello sviluppo tecnologico? È solo quello il campo entro il quale tale intelligenza può essere esplicata? 

L’intelligenza umana è fatta innanzitutto per contemplare la realtà, ovvero conoscere la sostanza delle cose esistenti. Capire per agire, questo è quanto connota la natura umana. Certo non siamo tutti uguali, ci sono intelligenze e volontà più spiccate di altre, ma l’essenza della natura umana è indubbiamente questa: usare l’intelligenza per capire e la volontà per agire. 

La necessità di lavorare per procurarsi direttamente quanto occorre alla propria sussistenza materiale, o per guadagnare il denaro utile a farlo, è una realtà con la quale la netta maggioranza degli uomini si misura praticamente da sempre, e immaginare come possa un uomo trascorrere la propria esistenza privo di questa necessità, a molti risulta essere alquanto difficile. Eppure, considerando la natura umana e ciò che la caratterizza, non dovrebbe essere impossibile trovare una risposta soddisfacente a tale quesito.   

Dunque – accettando di porsi nella prospettiva di chi ritiene probabile e prossimo un futuro caratterizzato dall’assenza dell’impegno lavorativo – come potrebbe impiegare il proprio tempo chi non dovesse aver più l’incombenza di “lavorare per portare a casa il pane”? Risolto il problema della sussistenza materiale, l’uomo, scevro da impegni di lavoro a questa necessità finalizzati, potrebbe darsi totalmente alla propria edificazione concentrandosi sullo sforzo di sviluppare appieno le proprie facoltà, sia sul piano spirituale che sul piano materiale. 

Coltivare l’intelletto attraverso l’esercizio della conoscenza della realtà in cui si vive e forgiare la volontà – sia attraverso lo sforzo necessario a ben comprendere sia tramite l’esercizio fisico finalizzato alla disciplina ed alla cura del corpo (1) – questa è la via naturale alla edificazione di ogni uomo secondo i propri talenti o inclinazioni particolari. Edificazione che consiste nella realizzazione di sé in accordo alle inclinazioni della natura umana, e che riguarda tanto il piano temporale o terreno quanto – e in maniera infinitamente più importante – quello spirituale e soprannaturale, data la particolarità della natura umana composta di corpo (realtà materiale e mortale) e di anima (realtà spirituale e immortale). Il bene dell’anima è infinitamente superiore a quello del corpo, in quanto consiste nel godimento senza fine della visione beatifica: la contemplazione di Dio che colma di felicità e appaga ogni desiderio di bene.  Si può perdere il corpo ma non si deve perdere l’anima, ovvero occorre fare di tutto per non perdere Dio e dannarsi.

Non a caso il catechismo della Chiesa cattolica insegna che l’uomo è fatto per conoscere (intelletto), amare (volontà) e servire Dio, e mediante questo salvare la propria anima, ossia godere per sempre della visione beatifica (la prospettiva eterna, il fine a cui occorre tendere).

Dunque a chi si preoccupa – fondatamente o meno – di quale sarà il destino dell’uomo privo della necessità di lavorare, in quanto scalzato dalle macchine, non resta che compiere lo sforzo di uscire dalla falsa antropologia concepita dalla modernità materialista e utilitarista, e ritornare a vedere l’uomo per quello che è: creatura dotata di intelligenza e volontà, naturalmente sociale o socievole, chiamata a formare se stessa portando al massimo grado di sviluppo le proprie inclinazioni e a farlo conformemente all’ordine naturale, il quale è oggettivo e di origine trascendente; uno sforzo da compiere in vista tanto del bene temporale e terreno – che costituisce il fine prossimo della persona – quanto del destino di eternità che della persona costituisce, invece, il fine ultimo e infinitamente più importante. 

  1. Cosa da non intendere in senso narcisistico. 
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