L’immigrazione di massa si sta rivelando un tema determinante per il futuro dell’Occidente.

Basti pensare alle ondate iconoclaste dei BLM contro le statue che dagli Stati Uniti si sono diffuse in Europa, oppure a come gli italiani siano stati costretti alla quarantena forzata con i porti rimasti aperti nel segno del politicamente corretto e del lassismo dell’opposizione.

È necessario che il popolo si svegli dal torpore e riacquisti un sano buon senso identitario.

Allo scopo, può essere utile la lettura del libello di Enoch Powell: Il discorso dei «fiumi di sangue», edito da Italia Storica e curato da Andrea Lombardi, nel quale viene riportata la dura invettiva del conservatore britannico, pronunciata il 20 aprile 1968 al Midland Hotel di Birmingham, che gli valse l’espulsione dal partito ma anche un seguito di quasi l’80% della popolazione con manifestazioni in suo favore.

Non stiamo parlando di un razzista grossolano, ma di un politico che all’intelligenza fuori dal comune unì il common sense della classe popolare in cui era cresciuto. Nel corso della sua vita, imparò 14 lingue differenti e a 25 anni ottenne la cattedra universitaria di greco, divenendo il più giovane professore del Commonwealth. Arruolatosi volontario nella seconda guerra mondiale e divenuto Generale di brigata, sviluppò una forte avversione contro gli USA, giudicati come un pericolo per la fine dell’Impero.

Durante gli anni Sessanta, Powell focalizzò la sua attenzione sulla britishness, l’identità britannica minacciata dalla scarsa influenza imperiale, dalla reindustrializzazione della società post-bellica tramite gli immigrati dalle ex colonie e dal liberismo senza controllo che stava privando dei diritti la classe lavoratrice.

«Se guardo avanti sento forte un presentimento. Come i Romani, mi sembra di vedere il Tevere schiumante di tantissimo sangue». Questo è il riferimento classico del discorso che lo ha fatto passare alla storia, anche alla luce delle lotte razziali che sarebbero seguite negli anni Ottanta con le politiche di Margaret Thatcher.

Rimpatri e remigrazione erano le ricette da applicare, nella consapevolezza dei pericoli che il popolo avrebbe corso trovandosi straniero nella propria terra. Di qui la contrarietà alla legge anti-discriminazione, che venne approvata pochi anni prima.

« […] Ora apprendono che un atto del parlamento stabilirà un privilegio a senso unico; una legge che non può e non è pensata per proteggerli né per dare ascolto alle loro rimostranze; una legge emanata per dare allo straniero, allo scontento e all’agente provocatore il potere di perseguitarli per le loro azioni private.»

A distanza di anni, non possiamo che dire sì, Enoch aveva ragione, anche quando espresse la contrarietà sull’ingresso dell’Inghilterra nella CEE, uscita ufficialmente dalla gabbia europea il primo gennaio scorso.

Una personalità e un discorso interessanti, che ci mostrano come si possa sostenere posizioni controcorrente con stile e acume contro l’imperante verbo progressista.

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