In Italia il problema immigrazione viene affrontato in maniera isterica e a colpi di slogan: hanno fatto notizia i piagnistei del ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Teresa Bellanova, prima della regolarizzazione di 600mila immigrati da lei voluta, in quanto il provvedimento rischiava di non passare, e, subito dopo, per la gioia della avvenuta regolarizzazione. Cosa ne sarà di quegli immigrati fra un anno? Non è dato saperlo.

In Italia il dibattito sull’immigrazione si compone di almeno tre schieramenti. Da un lato ci sono coloro che vorrebbero aprire i porti e le frontiere a tutti, trasformare il nostro paese in un approdo multietnico per i disperati del mondo. Dall’altro c’è chi utilizza i migranti come strumento politico-elettorale: si parla di immigrazione pro o contro (ma soprattutto contro) fino a pochi giorni prima delle elezioni, salvo poi dimenticarsene non appena raggiunti i risultati elettorali desiderati. Infine c’è chi vorrebbe disintegrare a cannonate le carrette del mare per impedire che i migranti arrivino in Italia.

Va chiarito che tutti e tre questi schieramenti non solo non colgono l’essenza del problema, ma sono assolutamente inutili e controproducenti. Eppure la politica italiana nutre l’opinione pubblica continuamente con queste argomentazioni che potranno suonare bene in un bar ma non in un dibattito serio che intenda proporre soluzioni per l’immigrazione.

La gravità del problema è nei numeri. Secondo dati dell’Istat in Italia al 2019 risultavano 5.255.203 immigrati legali, l’8,7% della popolazione residente. Una cifra che presa in questo modo potrebbe non fare impressione, tuttavia bisogna andare ad analizzare la ripartizione degli immigrati per nazionalità e genere. Quando si procede ad un’analisi sulla provenienza e il genere degli immigrati si scopre una realtà di cui la politica non vuole occuparsi e su cui i mezzi di comunicazione tacciono impunemente.

Secondo l’Istat, al 2019, gli immigrati da alcuni Stati africani sono ripartiti in questo modo: Nigeria, donne 47.599, uomini 69.759; Senegal, donne 28.219, uomini 82.023; Egitto, donne 42.518, uomini 84.215; Ghana, donne 17.072, uomini 34.310; Gambia, donne 643, uomini 22.197; Mali, donne 874, uomini 20.352; Guinea, donne 1.598, uomini 11.895.

E poi ancora, dall’Afghanistan, donne 1.093, uomini 10.259; Pakistan, donne 37.149, uomini 85.159; Bangladesh, donne 38.586, uomini 101.367; India, donne 65.561, uomini 92.404.[1]

Leggendo questi dati non si può non notare che 1) vi è un’immigrazione molto pronunciata da alcune nazioni rispetto ad altre dello stesso continente o area geografica e 2) vi è uno sbilanciamento verso l’immigrazione di sesso maschile rispetto a quella femminile. In altre parole, da determinati paesi arrivano molti più uomini rispetto alle donne.

Ora, non è importante capire perché vi sia un numero maggiore di uomini rispetto alle donne, oppure comprendere perché alcune nazioni producano più immigrati rispetto ad altre. Quello che interessa è prendere atto di una situazione oggettiva, analizzare i dati e sui dati provare a trovare una soluzione al problema.

A questo punto c’è chi potrebbe avanzare l’obiezione secondo la quale lo sbilanciamento di cui si è parlato poco sopra non rappresenti un vero problema per una nazione. In realtà il problema è reale, soprattutto in un paese multietnico (l’Italia non è un “paese multietnico”, al limite la stanno facendo diventare) come il nostro. La storia delle nazioni del mondo mostra come l’armonia sociale si è sempre mantenuta garantendo un adeguato bilanciamento tra uomini e donne, in modo particolare tra i 18 e i 50 anni. Se questa armonia viene meno le ripercussioni sociali possono essere di particolare rilevanza. L’afflusso di un numero sempre maggiore di immigrati di sesso maschile sta provocando un mutamento del rapporto uomo-donna in alcuni paesi europei. In Svezia ad esempio le statistiche relative al 2015 mostravano come, nella popolazione tra i 25 e i 69 anni, vi erano 102,33 uomini per 100 donne.[2] Nel 1985 il rapporto era di 100,53 per 100 donne. In Norvegia, sempre al 2015, i dati mostravano un rapporto uomo-donna di 104,66 a 100. Nel 1985 era di 100,72 a 100.[3]

Gli Stati dell’Europa del nord hanno intrapreso politiche immigratorie tese all’apertura dei confini e all’accoglienza di ingenti quantità di immigrati africani e mediorientali, la gran parte di sesso maschile. L’Italia si sta allineando a questa tendenza.

Le prospettive non sono incoraggianti, visto che in India e in Cina gli uomini superano le donne di 70 milioni.[4] Si può facilmente immaginare che, in un’era di abbordabili spostamenti, questi uomini non abbiano nessuna difficoltà a spostarsi nei paesi europei in cerca di fortuna economica e riproduttiva.

Certo, l’immigrazione dai paesi europei, in particolare da quelli dell’Europa dell’Est, vede la presenza di un numero maggiore di donne rispetto agli uomini, anche qui si tratta di uno sbilanciamento non naturale di popolazione. In ogni caso non si può continuare a chiudere gli occhi di fronte a fenomeni allarmanti dal punto di vista sociale e demografico.

L’unico modo per poter riacquistare la dimensione vera del problema è perseguire un approccio realista all’immigrazione. Che cosa si deve intendere per prospettiva realista all’immigrazione? In parole semplici, significa elaborare delle politiche che sappiano partire dai dati statistici e dalla situazione reale per proporre soluzioni efficaci. L’immigrazione per essere affrontata onestamente deve essere sganciata dalla propaganda politica e ideologica e ricondotta nell’alveo della demografia. Questo perché l’immigrazione è una questione demografica, sociale, culturale e, si passi il termine, biopolitica, e come tale va affrontata.

In quanto realista l’approccio all’immigrazione qui proposto non può reggersi soltanto su un impianto teorico che, sebbene chiaro, non dice ancora nulla su come dovrebbe essere applicato. La prospettiva realista, come accennato, parte dai dati, dai fatti oggettivi. Si è visto come la caratteristica principale dell’immigrazione in Italia (e non solo in Italia) sia quella di presentare una distribuzione di immigrati sbilanciata in termini di nazionalità e genere. Ebbene, se si vuole riportare la distribuzione della popolazione ad un bilanciamento naturale e armonioso, quello su cui si sono basati gli Stati-nazione per secoli, si deve comprendere la necessità di una selezione dell’immigrazione su base nazionale (o etnica) e di genere.

Se da una determinata nazione del mondo si vedono arrivare un numero troppo elevato di immigrati di sesso maschile, oltre che un numero elevato di immigrati in totale rispetto ad altre nazioni, bisognerebbe restringere il numero di ingressi per quella nazione e per quel genere particolare. Applicando questo metodo realista non si seguirebbe un approccio ideologico al problema, al contrario si sarebbe guidati soltanto dai dati statistici e da quelli oggettivi di una situazione demografica che deve essere tenuta sotto controllo e guidata in modo tale da ristabilire armonia sociale.

Il sistema può essere ancora meglio definito come una selezione basata su quote nazionali e di genere, resta tuttavia da capire come ripartire le quote di immigrati che possono essere accettati all’interno del paese. Le quote possono essere stabilite sulla base di una certa percentuale, ad esempio il 2%, di una data comunità etnica presente al censimento nazionale di un dato anno. A titolo esemplificativo si potrebbe procedere in questo modo: per il 2020 la quota di immigrati provenienti dalla Nigeria sarà del 2% del totale dei nigeriani presenti in Italia al censimento del 1994.

Il sistema delle quote per nazionalità non è una novità dei giorni nostri, esso fu sperimentato con un certo successo negli Stati Uniti, in particolare con l’Immigration Act del 1924. La legge americana riuscì a contenere l’immigrazione negli Stati Uniti che all’inizio del XX secolo si era fatta drammaticamente enorme: dal 1900 al 1915 oltre 15 milioni di immigrati sbarcarono sulle coste degli Stati Uniti. L’elemento di novità sarebbe rappresentato oggi dalle quote di genere, da affiancare a quelle per nazionalità.

In questo modo l’afflusso di migranti viene regolato e si permette a chi entra di iniziare il processo di integrazione e assimilazione nel paese ospitante. Esattamente il contrario di quello che avviene oggi, dove un numero ingente e diseguale di immigrati arriva da ogni parte del mondo, ogni anno, ogni mese, ogni giorno, non avendo il tempo materiale e le condizioni sociali per integrarsi nel paese.

La questione è: saprà la politica smettere di cavalcare l’immigrazione solo per motivi strumentali e ideologici e avviare una seria riflessione sui metodi per risolvere il problema immigrazione? Il tempo a disposizione non è molto, prima si inizia e meglio sarà per tutti, per gli immigrati in primis.


[1] https://www.tuttitalia.it/statistiche/cittadini-stranieri-2019/

[2] https://knoema.com/atlas/Sweden/topics/Demographics/Population/Male-to-female-ratio-for-people-aged-25-69-years

[3] https://knoema.com/atlas/Norway/topics/Demographics/Population/Male-to-female-ratio-for-people-aged-25-69-years

[4] https://www.scmp.com/magazines/post-magazine/long-reads/article/2142658/too-many-men-china-and-india-battle-consequences

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