La legge di revisione costituzionale sulla riduzione del numero di deputati e senatori, inclusi quelli eletti nella circoscrizione Estero, incide prepotentemente sulla rappresentanza politica. Che questa sia un concetto di difficile definizione (la teoria kelseniana della “finzione”, quella di Mortati, Manzella, etc..) nel Diritto Pubblico è fuori discussione.

Ho avuto la fortuna di parlarne con un grande Maestro, quale il prof. Domenico Fisichella, che mi onora della Sua amicizia e che ha scritto un saggio di fondamentale importanza sul tema. Personalmente, mi ritrovo nella prospettiva di Böckenförde (1930-2019), già membro del Bundesverfassungsgericht (la Corte Costituzionale tedesca), il quale definisce la rappresentanza politica come un “processo“, messo in moto dai rapporti bidirezionali tra partiti ed elettori, elettori e parlamentari, parlamentari e partiti politici di appartenenza.

Mi pare evidente che, in un contesto in cui il ruolo dei Parlamenti europei (non solo il nostro) è sempre più in crisi sia per le limitazioni di sovranità a favore dell’Unione Europea, la quale, grazie alla teoria di origine giurisprudenziale dei “poteri impliciti”, entra sempre di più nelle sfere di competenza degli Stati membri, sia per il proliferare di organismi indipendenti (da noi le note Autorità amministrative) che sottraggono spazi al decisore politico, diminuire il numero dei parlamentari rende ancora più complicato questo processo e, di conseguenza, la stessa “rappresentanza degli interessi politici” (Costantino Mortati).

I membri delle due Camere rappresentano sì la Nazione (art. 67 della Costituzione repubblicana vigente) ed esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato; tuttavia, come già insegnava il prof. Livio Paladin (1933-2000), questo non toglie che “un qualche mandato”, ovviamente di natura politica, “vi sia” (lo si ricava anche dal sostantivo “deputati” etimologicamente inteso).

Lungi, quindi, dal pensare che le Assemblee parlamentari siano in grado di rispecchiare fedelmente le forze politiche di un Paese (neppure in presenza di un sistema elettorale proporzionale puro), il “taglio”, secondo l’infelice espressione del partito di maggioranza relativa, ossia il Movimento 5 Stelle, non puà che rendere ancora più impalpabile quel “processo”.

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