Riflettendo sul degrado in cui versa la società italiana, mi guardo indietro e dei miei anni attivi come giovincello, giovanotto e poi adulto – per intenderci, quelli tra il 1970 e il 1980, in cui sarei stato nelle condizioni di interagire con la società – quel che rimane di quegli anni, dicevo, è un senso di inutilità.

Un periodo di 10 anni che, per fortuna, su quel che ero e che sono non ha infierito, sia per un’istintiva adesione all’avita tradizione, sia per l’educazione impartitami, sia per la convinzione con la quale ho aderito all’anno di leva trascorso presso la Scuola Militare di Paracadutismo (dalla quale ho iniziato, dalla gavetta, una carriera militare che mi ha marcato per la vita).

Ma quel decennio ha infierito negativamente su molti coetanei che non hanno ancora smaltito quella grave sbornia giovanile che obbligava alla contestazione a priori e a tutti i costi e che adesso alberga nei loro cuori ammantata di chissà quale gloria, quando in realtà è stato solo ciarpame di pensieri nemmeno in libertà, perché erano indotti da megafoni gracchianti e obnubilante LSD, che li induceva a declamare un altro dei tanti slogan idioti: “La fantasia al potere”.

Dal ’68 in poi, nessuna idea che sia stata un minimo originale è scaturita da quei giovanotti così impegnati. Solo slogan privi di contenuto urlati col megafono che hanno scandito le giornate di giovani ubriachi di “rossa primavera”, perennemente incazzati con i propri genitori e con tutto quello che costituiva una parvenza di ordine; adepti di una protesta che vedeva il simbolo di un non meglio precisato riscatto nella P38 (da impugnare come la impugnerebbero i peggiori rapinatori) e nella chiave inglese a mo’ di spranga, oppure in quella spinellata marionetta d’uomo che era John Lennon.

Il brutto è che ora, dopo 50 anni, c’è qualcuno, anche tra chi non ha aderito al ’68, che osa sostenere che, almeno in quegli anni c’era qualcosa di vivo che adesso non c’è. Sì, dico io, di vivo c’era solo la morte delle idee.

Pessimi quegli anni che hanno inghiottito leve di giovani nell’inconsistente bla-bla-bla. Un pezzo di vita che, al posto di essere vissuta rispondendo alle istanze che l’imminente età adulta intimamente iniziava a reclamare, ha aderito ad una protesta fasulla e l’ha reiterata fino a concluderla, dopo una generazione, con una patetica domanda cantata “Ti sei salvato dal fumo delle barricate” (…quasi avessero affrontato chissà quali combattimenti), e con un altrettanto triste e patetico “… o sei entrato in banca pure tu?”. E dove doveva finire quel rivoluzionario di cartapesta, che protestava contro la borghesia e pretendeva di “fare l’Italia come la Cina”? Dove poteva andare a finire quel cialtroncello, se non a fare il travet “con le rate e la seicento, mutuo e televisione, salotto e doppio mento” pur continuando la sua patetica e inutile protesta che tanto lo inorgogliva e ancora l’inorgoglisce?.

Senza saperlo, quel brano di un bardo sessantottardo che recitava: “ti sei salvato dal fumo delle barricate o sei entrato in banca pure tu”, ha riassunto l’inconsistenza di quegli slogan e il fallimento di quei mentori invertiti che tutt’ora sostengono come siano stati “formidabili quegli anni”. Bah.

Quegli anni sono stati un inganno, un lungo inganno. Un inganno che urla vendetta, quello del ’68, perché ha privato dell’autenticità umana una stirpe di giovani che nemmeno l’anno della leva – al quale tutti, anche i più rossi, guardano ora con nostalgia, millantando di essere stati “proletari in divisa”, ma comunque uomini che hanno sopportato il disagio della naja (qualcuno arriva addirittura a millantare di essere stato destinato a un battaglione punitivo… E cosa diavolo sarebbe un battaglione punitivo? Una menzogna come quella della rossa primavera) – è riuscito a liberare la loro mente, così plagiata da una satanica ideologia che aveva impedito loro di diventare uomini adulti e li ha condannati a rimanere bambini tonti.

L’impressione che ne traggo è che quei “vagiti” di ragazzi che si apprestavano a farsi giovanotti e poi adulti, sono rimasti solo dei vagiti prolungati di bambini con dei problemi psicologici. Una generazione perduta, cancellata, che quando è andata bene non è stata in grado di interagire con la società, ma più spesso ha interagito creando i peggiori danni etici, morali, sociali, deontologici, financo fisici (basti pensare alla droga, all’abuso dell’alcool, all’aborto, alla “cultura dello sballo”, etc.) che abbiamo adesso sotto gli occhi. D’altronde una generazione ne figlia un’altra e anche quella di giovani quaquaracquà ha figliato.

Una generazione che si è lasciata impapocchiare da fasulli slogan libertari che non hanno liberato nessuno, anzi, più che mai hanno tolto la libertà anche alla donna, la quale, ipnotizzata da quegli slogan, mica ha preteso diritti diversi da quelli dell’uomo, e magari quello di essere rispettata e protetta per il solo fatto di essere donna e generatrice di vita (salvo poi reclamare una legge ad hoc, il femminicidio, quasi la donna non fosse un essere umano come l’uomo e la categoria di omicidio non la tutelasse a sufficienza).

No, obnubilata dalle sirene della liberazione sessuale, ha voluto gli stessi identici diritti, ottenendo così un sovraccarico di responsabilità materiali e morali, affrancando l’uomo dal dovere di rispettarla e di difenderla, e anche dalla responsabilità dell’atto sessuale. Complimenti, una gran bella liberazione. Al grido di “l’utero è mio e lo gestisco io” hanno offerto la loro vagina alla foia più irresponsabile del maschio, come se la vagina e il pene fossero un posacenere e una sigaretta, assumendosi così la donna, liberamente, anche il compito di ripulire il posacenere dalla cenere e dai mozziconi.

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