Quanto hanno da insegnare, a noi occidentali imborghesiti, i valorosi samurai. Hanno da istruire tutti coloro i quali non hanno un’ideale, la forza di combattere e di morire, se necessario, per ciò in cui si crede. Hanno da istruire ai più facinorosi che non sempre la via della violenza equivale alla retta via, che non sempre la strada del furore conduce alla vittoria. Hanno da istruire a tutti la connessione con la natura, con ciò che ci circonda, con la più piccola forma di vita.

La forza dei samurai risiedeva nel loro codice: il Bushido. Quest’ultimo è simile al concetto romano del Mos Maiorum e a quello europeo di cavalleria. Vi sono raccolte le norme disciplinari, militari e anche quelle morali che il Samurai deve seguire. Il Bushido si fonda su 7 principi ineluttabili, ai quali i samurai dovevano scrupolosamente attenersi:

  • ONESTÀ E GIUSTIZIA = ogni samurai deve essere onesto e credere nella propria giustizia, non in quella altrui.
  • EROICO CORAGGIO = elevazione al di sopra della massa tramite l’utilizzo di un coraggio che non è cieco, ma intelligente e forte.
  • COMPASSIONE = continua ricerca di una via per aiutare i camerati che si ritrovano in situazioni di pericolo
  • GENTILE CORTESIA = la crudeltà porta alla rovina, il miglior combattimento è quello evitato
  • COMPLETA SINCERITÀ = la menzogna è l’arma dei deboli, per un samurai parlare ed agire sono la medesima cosa
  • ONORE = solo tu sei giudice del tuo onore, non puoi nasconderti da te stesso
  • DOVERE E LEALTÀ = fedeltà e dedizione totale nei confronti di coloro i quali il samurai è responsabile

“Il miglior combattimento è quello evitato.” Inusuale stile di vita per un’élite militare. Ma i samurai questo furono, reali portatori di pace, stabilità e prosperità. Essi compresero che la pace non poteva essere mantenuta con i fiori, bensì con l’onore e la katana. Un senso dell’onore proveniente dalla morale di ciascun guerriero, così limpido da comprendere che, allo stesso modo dei fiori, la crudeltà non sarebbe mai stata in grado di far trionfare l’ordine nella millenaria guerra contro il caos.

Non furono solo guerrieri, furono innanzitutto cittadini del grande impero giapponese. Dedicarono la loro vita al sostegno della propria gente, in particolar modo quella più bisognosa. Scortarono gli anziani, distribuirono alimenti a chi non aveva di che vivere, aiutarono i pastori con i carichi più pesanti, furono una vera e propria élite, non solo militare. Le loro gesta ci obbligano a pensare, ci illustrano come la sicurezza e la difesa del proprio popolo partano dai gesti più semplici, più sinceri, più umili.

La fine dell’ordine dei samurai arrivò con la battaglia di Shiroyama, il 24 settembre 1877. Il generale Saigo ed i suoi uomini, colpevoli di essere rimasti fedeli alla morale ed alle tradizioni del Giappone feudale, tentarono un inusuale colpo di stato per far rinsavire il loro imperatore, (il quale aveva svenduto la loro patria agli americani), diventando così fuori legge trattati alla stregua dei peggiori nemici della patria. I samurai, inevitabilmente mutati rispetto alle loro origini (nel combattimento, non nell’anima), combatterono con moschetti di scarsa qualità e con pallottole forgiate da statue buddhiste. A Shiroyama si scontrarono l’onore e la crudeltà, la katana e le gatling americane, 400 samurai e 20.000 giapponesi/marines, ma soprattutto si scontrò il sangue contro l’oro.

All’alba del nuovo giorno, l’esercito imperiale aveva cinto d’assedio le esigue forze della tradizione giapponese,  le quali avevano già subito ingenti perdite a causa dei bombardamenti americani. In 20.000 circondarono i ribelli e li attaccarono con il preciso obiettivo di non lasciarli fuggire, anche a costo della loro stessa vita. Gettati i moschetti, i samurai estrassero le katane e sferrarono un assalto frontale alla prima linea imperiale. Impreparati e nettamente inferiori nel corpo a corpo, la prima linea cadde sotto le bianche lame del Bushido, mandando in rotta un intero contingente americano. Verso sera, il Generale Saigo, ferito all’arteria femorale e con una pallottola nella gamba, trovò un luogo degno dove commettere seppuku, impedendo così al nemico di privarlo del proprio onore. Gli ultimi 20 samurai rifiutarono la resa e, rimanendo fedeli alla morale del Bushido, si lanciarono nell’ultima folle carica contro le gatling americane.

Fu così che finirono i samurai, in un impeto d’onore dettato da quello stesso Bushido che secoli dopo arrivò ad animare e ad ispirare l’esercito imperiale, che aveva contribuito alla distruzione dei suoi “fondatori”. Fu proprio verso il termine della Guerra del Pacifico (durante la Seconda guerra mondiale) che le forze giapponesi, ormai di fronte a sconfitta certa, consacrarono i loro ultimi istanti al Giappone ed al codice morale dei samurai. Si istituirono corpi volontari di kamikaze, con il solo obiettivo di fermare le navi americane dirette verso la loro madre patria. Alianti che, dal cielo, si schiantarono come saette divine sul metallo dell’invasore, giovani imbottiti di esplosivo per liberare i propri villaggi dagli occupanti, baionette che caricarono, come secoli prima, le mitragliatrici ed i mortai degli yankees.  

Ma il Bushido sopravvisse anche alla Seconda guerra mondiale e oggi vive nel cuore di ogni singolo giapponese che non ha mai smesso di amare la sua storia ed il suo glorioso paese.

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