È ormai ufficiale, le Forze Speciali italiane saranno impegnate a fianco di quelle francesi nel contrasto al Jihad che dopo aver sbaraccato dallo Sham (nord Iraq/Siria), aveva messo piede nel Sahelo-Sahara, dove si è consolidato.

L’operazione Berkane[1], promossa nel 2014 dalla Francia in funzione anti-jihadista nel Sahelo-Sahara maliano-nigerino-ciadiano, vede la sua naturale continuazione nell’operazione Takuba, adesso sostenuta dall’Europa, alla quale prende parte anche l’Italia.

Anche in questo frangente l’Europa non manca di evidenziare la sua disunità. Infatti di quello che doveva essere un piccolo esercito europeo:

  • il Belgio, forte dei suoi Paracommandos, invierà soltanto personale definito “non combattente” (che significa, non lo so: forse salmieri, tecnici, infermieri, logistici vari, etc.);
  • la Norvegia, malgrado abbia caldeggiato la missione, adesso nicchia;
  • la Finlandia fa il pesce in barile;
  • la Germania si è letteralmente sfilata, dicendo di no.

A reggere, per ora, oltre a Francia e Italia, rimangono soltanto la Repubblica Ceca, l’Estonia, la Gran Bretagna e il Portogallo. Meglio così, in questi casi meno si è sul terreno e meno si rischia il fuoco amico.

Anche perché lo scopo è quello di dar la caccia ai gruppi jihadisti che muovono in quella regione, spesso affiancati a carovane e gruppi di contrabbando/preda, con i quali i moujahid[2] mediorientali hanno ormai stabilito alleanze parentali, oltre che di interesse, e non servono spiegamenti di forze che richiederebbero un coordinamento sovradimensionato per quel tipo di missione che è “search and destroy”, al quale servono solo buoni spioni (ricercatori e analisti) e buoni incursori. E il miglior coordinamento.

A dire il vero, i nostri soldati in quella regione ci sono già, in forma “riservata” (un governo pacifista, per premessa non può fare la guerra… ma essere ipocrita sì). Ormai è dall’Afghanistan che siamo abituati a questo escamotage: ci sono ma non ci sono, e se ci sono non combattono, così i nostri pavidi politici stanno tranquilli.

Qualche testata giornalistica riferisce che i nostri soldati sono presenti in quell’area “in un piccolo dedalo di missioni internazionali che però non prevedono compiti di combattimento: il contingente più grosso, composto da 290 uomini, un massimo di 160 mezzi terrestri e 5 velivoli a pilotaggio remoto, è quello che partecipa alla missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger, ma che ha un’area di intervento più vasta, comprendendo appunto gli altri Paesi del Sahel” (“Inside Over” de “il Giornale” del 4 marzo scorso).

Che i nostri soldati siano già in zona d’operazione mi è di conforto, perché significa che almeno il Ministro della Difesa proprio tonto come gli altri ministri non è. Di Maio agli esteri, in questo periodo di crisi in cui il turismo in Italia è  crollato, ha pensato bene di volare in Grecia per chiedere di togliere il divieto di accesso ai turisti italiani, mettendo così il freno al nostro turismo interno; la Azzolina, all’insegnamento, il 15 giugno, ad anno scolastico concluso, a fronte della riunione degli insegnanti convenuti negli istituti per la riunione di fine anno, ha pensato bene di chiosare «le scuole si stanno popolando». Il Ministro della Difesa deve quanto meno aver capito qual è l’importanza strategica di quella regione:

  • i jihadisti che lì imperversano mettono a repentaglio la tenuta dei paesi del Maghreb (specie Tunisia e Algeria), compresa la Libia, che già non sta messa bene e che vedrebbe sfumare ogni possibilità di risoluzione dei suoi conflitti, tutti riconducibili ad uno scontro intra-islamico;
  • i succitati paesi si affacciano tutti sulla nostra quarta sponda, per cui le ripercussioni sulle nostre coste sarebbero inevitabili. Già adesso ne assaggiamo le conseguenze con il traffico di emigranti clandestini;
  • il consolidamento del jihad nel Sahelo-Sahara mette a repentaglio la tenuta anche dei paesi africani a sud di questa zona;
  • per ora non si è ancora verificata una saldatura con il Boko Haram, ma è immaginabile che ciò si possa verificare a breve;
  • senza un’adeguata azione di contrasto al jihadismo sahelo-sahariano, la regione è destinata a diventare un’autostrada che dall’Atlantico porta all’Africa orientale, in cui scorrazzano i peggiori tagliagole dell’Islam (dall’Algerino GSPC al somalo Al Shabab).

Non è ancora stata resa nota la consistenza delle forze che l’Italia metterà in campo, ma non bisogna essere particolarmente  esperti per ipotizzare:

a) una componente incursori “taskata” (mi si passi l’inglesismo ma è un termine militare) per gli “Strike” composta da:

  • un gruppo “search and destroy”, formato da alcune decine di incursori di Esercito e Marina;
  • un gruppo di incursori dell’Aeronautica per il targetting designation e il “SaR” (ricerca e soccorso);

b) una componente Forze di supporto alle Operazioni Speciali composta da:

  • IV Reggimento Alpini Paracadutisti;
  • 185° Reggimento artiglieri Paracadutisti RAO.

per un totale di 150-200 elementi.

c) Una componente “intelligence militare” per la colletta e l’analisi delle informazioni.

Si attendono ora notizie chiare circa:

  • il Comando dell’Operazione (difficile che i francesi lo lascino a noi);
  • le regole d’ingaggio (le quali spero non siano condizionate dalla pavidità dei nostri politici).

[1] La missione Berkane, dispiegava oltre 5000 uomini equipaggiati di droni, aerei da caccia, elicotteri e più di 800 veicoli tra corazzati, blindati e  camion.

[2] Moujahid è colui il quale pratica il jihad armato

Articolo precedenteIl piano Colao, un pericolo per l’Italia
Articolo successivoState attenti alla rabbia del popolo (soprattutto quando è giustificata)