Per l’anniversario della nascita di Attilio Mordini di Selva (23 Giugno 1923 Firenze – 4 Ottobre 1966 Firenze) abbiamo deciso di proporre la trascrizione di un pezzo del Mordini tratto dall’opera “Pagine Monarchiche” convinti come rivista Praesidium che la figura esemplare e l’opera di Attilio Mordini siano elementi, per quanto complessi, necessari da riscoprire per i tempi che corrono e per la FormAzione del militante che non vuole fermarsi agli strati più superficiali della battaglia da dover combattere contro il nemico che imperversa nel mondo, e in noi stessi. 

Ricordiamo infatti che la battaglia alla quale siamo chiamati è sia fisica che metafisica, politica quanto metapolitica, visibile quanto invisibile.

E’ stato lo stesso Mordini – nella sua seppur breve vita – oltre ad essere stato sia l’autore di testi ricchi di sapienza tradizionale quali (solo per citarne alcuni. L’elenco completo è a fine articolo)  “il tempio del cristianesimo”, “Dal mito al materialismo”, “La verità del linguaggio”, “Il segno della carne”, e vari articoli come di seguito proponiamo, fu un combattente per l’Onore, arruolatosi volontario per combattere in Russia – nonostante la sua leggera invalidità – dove riporterà il congelamento degli arti inferiori, sarà poi nuovamente volontario nelle fila della Repubblica Sociale Italiana, cosa che pagherà con una dura carcerazione ad opera dei partigiani che gli causerà i problemi di salute che lo porteranno alla prematura morte nel 1966.

Egli alternerà tutta la sua vita tra Pensiero e Azione, Preghiera e Opera.

Per riprendere le parole di un altro combattente e valido studioso quale fu Primo Siena, dobbiamo dire che

…quando venne l’ora della sopraffazione e delle vendette, pagò il tributo che l’odio di Caino gli impose, opponendo la tranquilla dignità del perseguitato dalla vile prepotenza del persecutore: subì un anno di carcere e un processo che lo mandò assolto da ogni addebito imputatogli.

Già in passato sono apparsi sul nostro sito contributi di Attilio Mordini e sulla sua figura (Attilio mordini, il cattolico ghibellino)

L’articolo che proponiamo di seguito è tratto originariamente dalla rivista “l’Ultima” numero 75-76 del 1954 e si intitola “L’Impero cristiano, entelechia dell’Europa”, la ricerca e la ribattitura del pezzo è ad opera del progetto di archiviazione e salvaguardia del Centro Studi e ricerca Cittadella.

L’Impero cristiano, entelechia dell’Europa

di Attilio Mordini

Il comando «Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» è ormai stato citato anche troppo, e soprattutto dai laicisti che hanno sempre creduto di scorgervi la conferma delle loro opinioni.

Eppure, se v’è un punto nel Vangelo dove ogni indugio sul laicismo è troncato è proprio questo. Gesù evita di dare ai Farisei una risposta negativa, ed evita altresì una affermazione che potrebbe avere sapore polemico.

D’altronde, limitare la risposta di Nostro Signore ad un’abile frase per cavarsi dal ben noto laccio tesogli dai suoi avversari è minimizzare la portata universale e divina del Vangelo; Gesù non vuol dire di non dare a Dio ciò che è dovuto a Cesare, e viceversa. Cesare e Dio (cioè Pietro come autorità religiosa sulla terra) non si escludono a vicenda. Non deve esistere un termine oltre il quale opera Cesare e non Pietro, o Pietro e non Cesare.

Essi non costituiscono due realtà diverse ed incompatibili bensì due fuochi di una sola realtà armoniosamente ellittica. La moneta è di Dio come è di Dio tutto ciò che esiste; l’effigie è di Cesare e dobbiamo onorare Dio dando il tributo a Cesare.

Se in ciascun uomo dobbiamo vedere Gesù, in Cesare dobbiamo vedere anche il Padre come in Pietro la Trinità tutta nella sua infallibilità.¹ «Cesare» e «Pietro» non sono termini dialettici, perché già sintetizzati in Dio. Nell’assolvere la loro missione di guida dell’umanità il Pontefice e l’Imperatore non debbono regolarsi su norme statuite a definire l’opera dell’uno rispetto all’opera dell’altro, ma solo ispirarsi a quel senso d’armonia: facoltà, appunto, superrazionale, che fa di due uomini un papa e un imperatore.

La missione di Cesare e la missione di Pietro sono due cose ben distinte, ma la medesima società in tutti i suoi aspetti è il loro comune campo d’azione.

È sintomatico che, non appena si pone la questione di statuire razionalmente e legalmente un limite ben preciso all’azione dell’uno e dell’altro, si aprono le lotte per le investiture. Questa lotta sarà appunto la malattia che determinerà la morte del Medioevo.

È altrettanto sintomatico che l’inizio della lotta per le investiture coincida con l’affermarsi della dialettica nella teologia cattolica. Non che la nostra Scolastica ne sia in qualche modo responsabile; ma il bi-sogno stesso che determinò la mirabile teologia scolastica può già dirsi in sé causa d’umanesimo, e i teologi altro non fecero se non ritardarne il fatale sorgere.

Infatti proprio quel bisogno di conciliare la fede con la ragione presupponeva un’incipiente frattura tra l’umano e il divino; e sul piano politico si trattava di conciliare l’Impero con la Chiesa.

Al primo problema si dedicarono domenicani e francescani, al secondo pensò Dante con il De monarchia

Non voglio certo auspicare qui un neo-feudalismo, me ne guarderei bene:solo credo sia il caso di porre attenzione ai principi sacrosanti ai quali il feudalesimo si ispirava o diceva di ispirarsi.

L’ordine feudale era ordine radiale. Da un imperatore eletto da una dieta di principi si snodava una gerarchia di re e vassalli tutti vincolati dalla parola d’onore e consacrati cristianamente; l’atto più alto dell’uomo, il giuramento, veniva elevato a dignità sacra. Ma delle lotte per le investiture approfittarono i nascenti comuni per proclamare le loro autonomie.

E se il simbolo araldico del vassallo è una corona radiale a significare un centro di potere, la corona comunale è corona turrita, è un chiuso limes dal sapore alquanto polemico.

Tuttavia i centri comunali non furono osteggiati dall’Impero; lo stesso Barbarossa si accontentò di inserire i comuni nell’ordine imperiale, nulla di più, ed Irnerio a Bologna riconobbe ciò come azione lecitissima da parte dell’imperatore.

Del resto sarà programma anche del nostro Alighieri l’innesto vivificatore del comune nell’Impero. 

Quando invece, con l’avvento dell’umanesimo, si porrà l’accento sui valori umani come se potessero darsi valori umani in sé (quasi che l’uomo sia valore in quanto uomo e non in quanto essere creato da Dio e redento da Cristo, unico vero Valore che dà valore alla realtà nella misura in cui questa partecipa di Dio), anche l’Impero si sfascia di fatto per lasciare posto ai nazionalismi od ai particolarismi di signorotti arricchiti. Più tardi le guerre di predominio, di religione e di successione gettano l’Europa in più caotico disordine, fino alla pace di Aquisgrana: la quale darà un ordine di compro messo fra le potenze, determinato dalla paura comune anziché dalla Verità universale.

Di pari passo il pensiero stesso passerà dai valori superrazionali del medioevo, che potevano darci vera cultura, all’erudizione umanistica, indi al razionalismo, e infine all’irrazionalismo romantico; (salvi, ben inteso, i geni come Goethe, Manzoni, Leopardi, che non si lasciarono mai invischiare dalle pastoie di scuola).

Frattanto le sole nazioni che videro sacrificati i loro ideali nazionali furono l’Italia e la Germania, e non senza una ragione profonda: perché proprio esse si trovavano rispettivamente custodi delle grandi idee di Chiesa e Impero, di Pietro e Cesare, di Roma e Worms. 

Ma nell’età del Risorgimento anche Italia e Germania, ultime nazioni ad affermarsi in Europa, assumono consistenza e fisionomia di stati particolari, e col 1870 si rinnova in Europa – sia pure con attori in parte diversi nel concerto delle grandi potenze, ancora amiche per la paura – una situazione analoga a quella del 1748; e l’utopia dell’equilibrio non sarà travolta nemmeno dalla prima guerra mondiale, ma si riaffermerà nella Società delle Nazioni.

Sarà solo con la seconda guerra mondiale che proprio l’Italia e la Germania – fatale provvidenzialità della storia – giungeranno a sfasciare, nella loro propria rovina, il decrepito sistema dell’equilibrio, e si piomberà -per ora- nel dualismo attuale.

Ma intanto sembra ormai dimostrato quale enorme errore di superbia fosse stato l’affermare i particolarismi nazionali sulle rovine del Sacro Romano Impero (l’esasperato nazionalismo del tentativo napoleonico non ebbe dell’Impero che il nome); e finalmente si pensa di nuovo a un’Europa unitaria. 

Purtroppo questo lungo e disastroso periodo di storia, che va dal 1492 ad oggi, ha lasciato profonde cicatrici ancora troppo sensibili; e non sono tanto, come pensano i pacifisti della paura, le cicatrici delle guerre e dei conflitti, quanto le piaghe dell’intelletto, quelle che dolgono a dismisura.

Dal giorno che si fece leva soltanto sui valori umani la storia non è stata altro che un progressivo spo-starsi della confidenza delle genti dalle sacre persone di imperatori e re, divinamente investiti, a sistemi di disposizioni, ingiunzioni e divieti sempre più astratti, meccanici, minuziosi e impaccianti, sempre meno permeati di quella maestà che è l’anima necessaria della legge; e via via riducentisi a documenti di sfiducia in quegli stessi valori umani che dell’umanesimo costituirono l’ispirazione iniziale. 

E ancora si insiste a considerare la verità come cosa comune anziché universale; errore che dovrebbe essere a tutti evidente. La Verità maiuscola non è infatti la risultante media delle minuscole verità di ciascuno, ma è personalità del Figlio di Dio che tutto e tutti trascende: e ciascuno è veto e nel vero, nella misura che del Verbo partecipa.

La «verità» comune, al contrario, non può essere altro che compromesso, e il compromesso è relatività senza misura assoluta, quindi, il diritto del prossimo, e curare il proprio dovere. Non è affatto evangelico vantare i propri diritti, e dovrebbe essere anche superfluo.

Infatti, in una società ove ogni cittadino facesse il proprio dovere non sarebbe turbato il diritto di nessuno; ma nel caso che ciò avvenga per infrazione del dovere da parte di altri, allora il Vangelo insegna che, dopo aver dato la tunica a chi ci ruba il mantello, dobbiamo riprendere il fratello nel segreto; e se ciò non basta portarlo a giudizio pubblico: il che è quanto dire di doverci curare, per amore di Cristo, che il nostro fratello compia il suo dovere anche verso di noi. 

Senonché tutto ciò è in antitesi sia con una società liberale fondata sul reciproco concorrere di individualità praticamente avversarie tra loro, sia con una società socialista fondata sulla rivendicazione anarchica dei diritti d’una classe, quantunque ingiustamente sfruttata.

San Paolo raccomanda ai servi sottomissione e obbedienza, e ai padroni di far liberi i servi: ed è vanto particolare della Chiesa di Roma aver debellato lo schiavismo senza mai incitare gli schiavi alla rivolta, ma, ove era possibile, riscattandoli anche col rimborsarne i padroni, Ancora una volta l’accento è sui doveri. Tuttavia la misura giusta è sempre quella del jus, che noi traduciamo diritto.

Ma jus vuol dire sacro legame; legame in cui il diritto e il dovere fanno un corpo solo, ed è esso il premio della societas. Dalla stessa radice, “jugum”, il giogo: che è appunto quell’arnese che unisce e sottopone la coppia di buoi, e rende loro agevole trainare il carro.

Il jus prelude infatti al giogo leggero di Gesù; leggero anche sul piano sociale perché nel giogo dell’amore e dell’obbedienza è annullata ogni polemica, gli uomini si riconoscono complementari, e nell’armonia dei complementari la persona umana viene veramente valorizzata al massimo. 

Il jus ci richiama ancora allo yoga indù, che è unione del individuale al divino e nel medesimo tempo disciplina per otte nere l’unione stessa e l’armonia interiore: e infine al segno del “Tau” che in ebraico vuol dire appunto giogo e si identifica col “tau” greco della croce. 

Si parla oggi di interdipendenza tra le nazioni: ma interdipendenza è anche essa concetto relativistico che nulla può avere di sacro; può dare compromesso, non la vera unione realizzabile solo nella dipendenza di ogni nazione da un’unica sovranità 

In questa epoca disgraziata è insomma la misura dell’armonía che manca. È un’epoca, la nostra, troppo condizionata dal piano fisico. Con l’andare dei secoli la civiltà della scienza sperimentale ha finito per livellarci al piano della materia e farcene schiavi, per cui non riusciamo più a gioire in Dio se non dopo aver mangiato e bevuto a sazietà.

E cioè, non ci riusciamo affatto. 

Non a caso oggi, tempo d’esistenzialismo, la sfiducia nel pensiero razionale e nello stesso progresso tecnico è pressoché generale nei giovani: nei quali è più acuto lo stimolo del desiderio; e la schiavitù del bisogno non diminuirà affatto mediante le sole riforme sociali, le quali altro non otterranno se non di spostare oltre l’obiettivo dei desideri umani senza appagarli né lenirli.

Eppure si insiste a fare del fattore economico la molla della storia dei popoli Si insiste su un’Europa del carbone e dell’acciaio anziché tendere all’Europa di Cristo: si insiste a far costituzioni in nome del popolo (di tutti o di nessuno è la stessa cosa), anziché in nome di Dio.

E si trascura la sua chiara promessa: «… dove due o tre sono riuniti nel mio nome, ci sono io in mezzo a loro».

Io, cioè anche pienezza di gioia e di appagamento. 

Sant’Agostino nel De Civitate Dei ci dice che una società cristiana altro non è che una società ove ciascuno è cristiano: ma con questo egli non vuol certo affermare che ciò basti a darci una società cristiana; ed evidentemente sottintendeva che, dove fosse una società di veri cristiani, solo in nome di Dio ogni assemblea si sarebbe riunita, ogni costituzione sarebbe stata emanata.

Infatti egil scende a parlare anche di punizioni corporali e perfino di pena di morte, se qualcuno la renda necessaria, perché trionfi l’ordine nel bene: cioè tenta delineare uno stato cristiano nelle sue stesse pratiche istituzioni. 

D’altra parte nel mondo cristiano si pone il blema della conciliazione tra pensiero e fede.

Ma certamente oggi v’è più bisogno di neopatristica che di neoscolastica, Un ritorno alle Scritture e alla Rivelazione tutta, come centro radiante nella realtà e nella storia del pensiero umano, con la disposizione a prendere di questo ciò che è della Verità e a gettare il resto senza vani sentimentalismi, finirebbe per condurci stupiti a non scartare nulla o quasi nulla, poiché tutto ciò che la storia ci ha dato di positivo è verità in cammino, e come verità è Cristo; solo assisteremmo ad una assoluta novità per i nostri tempi, quella cioè di vedere tutti i valori del passato e del presente armonizzarsi in ordine nuovo.

E in quest’ordine, solo allora, cominceremmo veramente a cercare la pace anziché temere la guerra. Infatti non «i valori» sono venuti meno, ma è «il Valore» che nella nostra società ha lasciato un angoscioso vuoto perché disconosciuto dagli uomini.

E quei cori angelici dei Sacri Testi e dei Padri antichi, cui neppure i teologi pensano più (salve poche eccezioni), ci danno un paradigma di quella misura armonica che dovrebbe costituire il vero principio della società cristiana: l’unum necessarium, mirando al quale tutto il resto ci sarà dato per giunta. 

Note:

1 II Papa, vicario di Cristo e del Padre («…chi ha visto me ha visto il Padre», Giovanni, XIV, 9), è ispirato dallo Spirito Santo nella sua infallibilità. Tale attribuzione trinitaria è simboleggiata chiaramente dalla croce papale a tre pezzi orizzontali, mentre le attribuzioni del Padre e del Figlio nella persona dell’Imperatore sono simboleggiate dalla croce a due pezzi orizzontali eretta sul Nord del globo. Tale è la croce di Lorena, e la Lorena (o Lotaringia) costituiva appunto il feudo di diretta pertinenza dell’Imperatore giusta il trattato di Verdun. A due pezzi era pure la croce dello Czar (Caesar), Padre delle Russie, mentre la croce sovrastante il globo dei re constava di un solo pezzo orizzontale. Il re infatti è l’uomo nella sua pienezza; in tal senso la regalità dei Magi d’Oriente.

Bibliografia completa di Attilio Mordini a cura del Centro Studi e ricerca Cittadella:

“Il segno della carne” – ed La Fronda 1959. ora ed Solfanelli 2023

 

“Il tempio del cristianesimo: per una retorica della storia” – ed Centro editoriale Torinese 1963. ora ed Il Cerchio 2006

 

“Dal mito al materialismo: leggende e favole del mito umano in una metamorfosi eterna” ed Il campo 1966

 

“Giardini d’Oriente e d’Occidente” (in collaborazione con P. Raimondo Spiazzi) ed. F.lli Fabbri. ora ed Settimo Sigillo 2008

 

“La verità del Linguaggio” ed. Volpe 1974. 

 

“Il mito primordiale del cristianesimo” ed. Scheiwiller. ora ed. Il Cerchio. 

 

“Il mistero dello Yeti alla luce della tradizione biblica” ed. II Falco; ora ed. Cantagalli 2012. 

 

“Pagine Monarchiche” ed. Thule 1980. 

 

“Francesco e Maria” ed. Cantagalli 1986.

 

“Il Cattolico ghibellino”, (raccolta di articoli di Mordini), ed. Settimo Sigillo 1989 

 

“Verità della cultura” ed. Il Cerchio 1995. 

 

“Passi sull’acqua. Dai quaderni d’appunti 1954-1961” Ed. Europa 2000. 

 

“Povertà regale. Secondi inediti dai Quaderni e altre pagine francescane” ed. Cantagalli 2001. 

 

“Il segreto cristiano delle Fiabe” (estratto da “Da il mito al materialismo”) ed. Il Cerchio 2007. 

 

“L’ordine costantiniano di San Giorgio. La regola di San Basilio e altri scritti di simbologia e cavalleria 1960-1964” Fondazione Thule Cultura 2017. 

 

“INRI. Il mistero del Regno” ed. Cantagalli 2021. 

 

“II Quaderno di Kiel. Frammenti e note per INRI” ed. La Finestra Editrice 2023. 

 

“Lettere a Maria” ed.Cantagalli 2024.