Contro l’ignavia che ci sta perdendo

Conosco la civiltà arabo-islamica per avervi vissuto e per continuare a viverci.

Conosco la mia civiltà che, a spanne, qualcuno definisce «occidentale» perché vi appartengo da 65 anni. 

Di entrambe ne percepisco le più tenui sfumature, conosco le certezze granitiche di ogni buon musulmano (anche quello meno tetragono) e i «vani pensieri» che minano la fede di ogni buon cristiano (sia quello cosiddetto «baciapile» che quello postconciliare).

E i pensieri che mi assalgono in questo periodo storico sono nudi e crudi proprio come nuda e cruda è la realtà quando si decide di affrontarla per quello che è, e non per quello che il mainstream si sforza di presentare.

Qual è la principale iattura che rischia di travolgere la prossima generazione della nostra civiltà? La defintiva mutazione spirituale: viviamo in una società che si sforza di cancellare la nostra identità cristiana.

Cosa sarà della nostra identità spirituale fra meno di una generazione? Sarà una tavola vuota, sparecchiata di quel poco che era rimasto dopo un processo di svuotamento che si protrae dal 1517, attraverso le decisive tappe del 1789, del 1963 (CV II) e del 1968.

Con quali stoviglie sarà imbandita quella tavola che noi abbiamo sparecchiato?  Con quelle dell’Islam!

Perché la tavola sparecchiata della nostra storia, della nostra tradizione, della nostra spiritualità sarà imbandita dalle stoviglie dell’Islam? Semplice: perché noi abbiamo scelto la via dell’ignavia e dei vani pensieri mentre i popoli arabo-islamici (anche quelli non arabi ma comunque islamici), sulla loro storia, sulla loro tradizione e sulla loro spiritualità hanno granitiche certezze e sono disposti a difenderle.

Partiamo da questo assunto e impariamo a conoscere i nostri nemici: la nostra ignavia e l’Islam.

Forse è proprio la divina provvidenza che ce li ha messi di fronte, per sottoporci alla prova.

La sfida è tosta ma non impossibile, si tratta solo di stringersi a coorte e dire alto e forte che abbiamo una identità storica e spirituale ben più antiche e radicate, e che siamo anche noi disposti a difenderle: «In hoc signo vinces», perché «per Lui ha pensato Aristotele, per Lui hanno marciato le legioni di Cesare».

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