Dopo la calma viene la tempesta. Questa è la tattica del jihad: si colpisce con profusione di sangue per spaventare il più possibile quelle pavide mammolette che sono gli europei, e poi si sta buoni per un po’, in attesa di colpire in un altro momento di rilassatezza.

Nel frattempo coloro i quali sono preposti alla «da’wa» (predicazione jihadista) in seno alle comunità islamiste incistate in Europa, si occuperanno di tenere alto il tenore della militanza al fine di creare una rete di complicità.

Benché gli interessi del jihadismo internazionale convergano ora nella regione del Sahel-Sahara, in Europa – dove  circolano alcuni cani sciolti e dove molti giovani musulmani, plagiati dalla da’wa si fanno islamisti militanti costituendo un serbatoio di jihadisti – continuano a giungere elementi legati al jihad. Alcuni arresti, operati recentemente anche in Italia, e la cellula jihadista smantellata in Francia, grazie alla segnalazione dei Servizi marocchini, sembrano avvalorare questa realtà.

Da quali direttrici il jihadismo internazionale fa giungere i suoi sgherri in Europa? Questa è la domanda che si pongono molti addetti ai lavori. Le direttrici sono sostanzialmente tre:

  • la direttrice marittima sud-nord dello stretto di Gibilterra (Marocco-Spagna);
  • la direttrice marittima sud-nord (Libia-Italia);
  • la direttrice terrestre est-ovest (Balcani-Italia-Austria).

Delle tre direttrici, la meno frequentata è quella dello stretto di Gibilterra, attentamente controllato dalle autorità spagnole con natanti e sistemi di rilevazione dedicati alla bisogna.

Le altre due sono quelle che suscitano maggiori preoccupazioni per una patente assenza di controllo, in particolare:

  • la direttrice marittima sud-nord del Mediterraneo centrale, che è solcata dalle navi delle ONG, le quali costituiscono una sorta di ponte tra la riva sud del del «nostro mare» e le coste italiane, e dove non viene esercitato nessun controllo off-shore;
  • quella balcanica, che vede un numero sicuramente maggiore di clandestini che sono destinati a distribuirsi in più paesi europei, ma per ora poco frequentata dai jihadisti.

A questo punto, assunto che il Sahel-Sahara sta diventando per l’ISIS, in maniera geograficamente molto più estesa, quello che era la regione Siria/Iraq, non si può ignorare che tutto il potenziale offensivo derivante dal teatro operativo che si sta aprendo in quella regione – il cui focus è compreso tra il sud dell’Algeria e il sud della Libia – è destinato a orientare le sue propaggini terroristiche in direzione dell’Italia, attraverso la direttrice del Mediterraneo centrale costellato di navi compiacenti.

Pertanto, sarebbe necessario cominciare a sorvegliarlo bene quel tratto di mare e metterlo al sicuro da ogni tentativo di passaggio da parte dei jihadisti che, dalla regione sahel-sahariana, sono suscettibili di venir proiettati in Italia.

Qualche sprovveduto ha asserito che «i terroristi non usano i barconi dei profughi per giungere da noi», chiosando che «i terroristi viaggiano in prima classe» (nda: solo un pirla poteva fare un’affermazione simile). Ebbene, non ci si lasci ingannare, perché i jihadisti non sono i terroristi degli anni 70-80 del secolo scorso (come le BR o la Rote Armee Fraktion di cui abbiamo contezza, e non sono nemmeno dei «Carlos» o dei «jackal»); no, i jihadisti sono dei soldatacci del terrore, non sono orientati a dichiararsi prigionieri politici ma sono disposti al martirio, per cui dei disagi della traversata non gliene può fregare di meno.

Suvvia, non nascondiamoci dietro il dito del politicamente corretto, la direttrice marittima Libia-Italia, proprio per la presenza delle navi delle ONG è una via di facilitazione che i jihadisti del Sahel-Sahara non mancheranno di sfruttare, magari per dare, con un’azione eclatante proprio in territorio europeo, l’avviso che la guerra nel Sahel-Sahara è iniziata e che lì si è incistato, ex novo, quell’ISIS che aveva sbaraccato dalla regione mediorientale e che tanto ci spaventava.

In tal caso, per la sua posizione geografica, l’Italia è la più esposta, in quanto costituisce la prosecuzione verso l’Europa di quel ponte formato dalle navi delle ONG.

Le azioni che si possono ipotizzare sono le seguenti:

  • infiltrazione di foreign fighter dissimulati tra i profughi, sostanzialmente già in atto;
  • presa di una nave ONG da parte di jihadisti, i quali avranno così la scelta se:
    • mettere a mare alcuni gommoni per raggiungere una spiaggia e far strage di bagnanti (come avvenuto nel 2014 nella spiaggia di Sousse in Tunisia);
    • attraccare in un porto e occuparlo con un’azione militare;
    • prendere in ostaggio l’equipaggio di una nave ONG, incrociare al largo delle coste italiane minacciando di sgozzare i membri dell’equipaggio, se in cambio non verranno rilasciati detenuti jihadisti.

A Napoli mi sembra che si dica «statte accuort cumpà».

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