La casa editrice Excalibur ha di recente pubblicato un interessante pamphlet intitolato Rischio Islam?, l’autore del quale è il nostro collaboratore Corrado Corradi.

Il Colonnello Incursore Corradi – già ufficiale del Nono Reggimento Col Moschin e degli Organismi di Informazione e Sicurezza – è un profondo conoscitore del mondo arabo-islamico, con il quale scelte di vita e ragioni professionali gli hanno imposto di confrontarsi.

Un confronto, quello dell’autore, sincero e senz’altro animato dalla volontà di comprendere una realtà tanto diversa da quella a cui un italiano cattolico è abituato, ma nella quale non è difficile cogliere elementi comuni a chi condivida una visione del mondo fondata sulla centralità della dimensione sacrale e religiosa.

Un confronto profondo e meditato, che ha consentito a Corradi di comprendere i limiti e le attenzioni che devono caratterizzare il rapporto col mondo arabo-islamico. Mondo col quale noi italiani dobbiamo necessariamente fare i conti, non solo per le ovvie ragioni geopolitiche insite nella posizione geografica occupata dalla nostra Nazione, ma anche a causa del continuo afflusso di immigrati mussulmani che ormai da anni sta interessando l’Italia. 

Questo pamphlet – impreziosito dalla prefazione del Generale Inc. Marco Bertolini, amico e commilitone dell’autore – costituisce una sorta di manuale per un corretto e avvertito approccio alla realtà islamica, soprattutto nella sua componente più significativa: quella araba.

A proposito dell’illustre prefatore, ci è parso opportuno concludere questo breve invito alla lettura di Rischio Islam? con quanto da egli scritto come incipit della sua prefazione.

L’autore ha scelto un titolo auto esplicativo per il suo libro sull’Islam. Non v’è dubbio, infatti, che un rischio connesso al confronto con una realtà così polimorfa da parte delle nostre società secolarizzate sussiste anche oggi, 450 anni dopo quella Battaglia di Lepanto che sancì la vittoria definitiva dell’Europa cristiana nei confronti del “turco” musulmano. Allora si trattò di una vittoria in larga parte “italiana”, nelle sue sfaccettature soprattutto veneziane, genovesi, siciliane, napoletane e pontificie che però è assurta a simbolo della resilienza di tutta l’Europa. Era inoltre la dimostrazione che dopo la colpevole perdita di Costantinopoli poco più di un secolo prima – quando i dissidi tra veneziani e genovesi e il mancato ascolto delle perorazioni del Papa da parte dell’Europa condannarono Bisanzio – gli Europei erano disposti a battersi in nome di un’identità comune che aveva nel messaggio cristiano il suo fulcro. Insomma, era l’ordalia, il giudizio di Dio che ci aveva fatto perdere Costantinopoli ed era paradossalmente la stessa ordalia che aveva dato la vittoria alle armi europee a Lepanto contro un nemico che si presentava, oltre che ostile ed aggressivo, animato da valori diversi.

Il mezzo millennio trascorso da allora rappresenta un periodo di tempo lungo per chi nel frattempo ha abbandonato, con la tensione spirituale e religiosa di quell’epoca, la capacità e la volontà di combattere per il proprio futuro, per adattarsi a quello che gli viene imposto da un mondo senza Dio, che si erge esso stesso al livello di un Dio politicamente corretto e scientificamente provato. E questo, proprio a partire dalla componente italiana della coalizione di allora, ormai tra le più secolarizzate dell’Occidente a causa di una sorta di eclissi di quella Chiesa Cattolica che ne ha rappresentato l’elemento identitario più forte per due millenni.

È proprio per questo che opere come questa servono a gettare un fascio di luce che abbatta l’inconsapevolezza di quello che ci troviamo ad affrontare, creando le premesse per un risveglio necessario.

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