La politica estera italiana è sempre stata, dai tempi di Andreotti in poi, improntata a riservatezza attiva e prudenza intelligente, ossia: si agiva, senza strombazzamenti, in maniera mirata a portare a casa un risultato soddisfacente senza stravolgere gli equilibri. Una politica un po’ bizantina si dirà, sì, ma efficace perché gestita da una sperimentata diplomazia e da un’efficace intelligence.

Pian piano, con l’assottigliarsi di una classe politica che, pur non essendo composta da giganti, aveva un minimo di contezza di come si campava in quella realtà post-1945, siamo giunti agli anni ‘90, in cui una rivoluzione capeggiata da un esteso pool di magistrati che faceva tintinnare le manette, ha flemmatizzato ogni iniziativa di politica interna ed estera e ha messo in folle lo strumento principale di «intelligenza» dei fatti internazionali: i nostri Servizi.

Ho fatto un riassunto a spanne per giungere al nocciolo della questione e dire che il risultato è sotto gli occhi di tutti: un’Italia priva di politica estera, ferma in una piazza affollata a guardarsi intorno senza aver contezza di quale via imboccare tra quelle che si diramano da quella stessa piazza.

Ed eccoci ai giorni nostri, in cui sta mostrando il meglio di sé il gotha della politica italiana: Di Maio, De Micheli (quella che: gli scuolabus sono sovraffollati, ma tanto basta aprire i finestrini per ventilare, e poi gli studenti sono da considerare congiunti), Speranza (quello che scrive un libro sulla sconfitta della pandemia e poi lo ritira in fretta e furia perché è tornata la pandemia), Bonafede (quello che scarcera i 41 bis per proteggerli dalla pandemia perché gli altri detenuti, chissenefrega, possono anche prenderlo il Covid).

E arriviamo, dunque, ad oggi, al tragico caso Regeni, del quale ho già parlato in due precedenti articoli, in cui evidenziavo che quel nostro studente è stato vittima sì di pezzi deviati della polizia egiziana, ma anche di un infame gioco, probabilmente ben condotto in tandem dalla Fratellanza musulmana e dalla Gran Bretagna, che prevedeva uno sgambetto all’odiato Al Sisi e mirava all’estromissione dall’Egitto di quell’Italia che funziona e che aveva scoperto un enorme giacimento di idrocarburi al largo del delta del Nilo.

Su questo caso, si è buttato a capofitto il più grande “esperto” di politica internazionale, specializzato negli affari mediorientali e arabo-islamici: il Dott. Fico (nomen omen?), attuale presidente della Camera dei Deputati, il quale ha pensato bene di farsi intervistare dalla TV qatariota Al Jazeera, rilasciando dichiarazioni che hanno sicuramente fatto sobbalzare i nostri diplomatici, che, come ho precisato in incipit, hanno sempre agito con riservatezza attiva e intelligente prudenza, portando quasi sempre a casa risultati se non ottimi, quanto meno soddisfacenti.

Il risultato di quell’intervento da fico di Fico (al diavolo il titolo accademico e quello politico), il quale ha implicitamente parlato a nome della Camera e del popolo italiano, è evidente:

  • ha associato il proprio alto incarico ad un’emittente nota per essere la portavoce dell’islamismo integralista della Fratellanza musulmana;
  • dall’alto del suo scranno, ha espresso pareri in controtendenza con la linea diplomatica italiana;
  • ha implicitamente avallato le varie esternazioni di politica regionale di Erdogan;
  • non ha contribuito un minimo a dirimere questa delicata e complicata questione, che vede in campo non solo un nostro studente fatto a pezzi da funzionari di polizia infami e probabilmente infedeli ad Al Sisi, ma anche la Fratellanza musulmana e le sue diramazioni in Inghilterra. Anzi, quel fico di Fico ha sicuramente ingarbugliato oltremodo la questione.

Preso dal sacro fuoco dell’esternazione, il Presidente della nostra Camera dei Deputati si è allargato così tanto che ha “pisciato fuori dal vaso”, ventilando la possibilità di una rottura delle relazioni diplomatiche con l’Egitto, tant’è che ha poi dovuto specificare che si riferiva al congelamento dei rapporti fra i rispettivi Parlamenti.

La questione Regeni, non riguarda solo quel nostro studente e la sua famiglia devastata dal dolore per una morte così atroce e assurda. Lo Stato ha il dovere di stare vicino a quella famiglia, trovando argomenti e parole che possano contestualizzare il fatto e adottare provvedimenti di sostegno che possano alleviarne la sofferenza. La questione, dicevo, è molto delicata e complessa, perché vede in campo attori di tutto rispetto (se di rispetto si può parlare, stante la truculenza che quegli attori hanno saputo esprimere):

  • lo Stato egiziano che cerca di trovare un equilibrio in seno ad un mondo arabo-islamico in cui imperversa la Fratellanza musulmana patrocinata dalla re-islamizzata Turchia;
  • organismi egiziani deviati rimasti fedeli alla estromessa Fratellanza musulmana;
  • l’Inghilterra, che vede nell’Egitto una sorta di feudo;
  • l’Italia, i cui interessi in Egitto, specie nel settore degli idrocarburi, cozzano con gli interessi dell’Inghilterra.

Questioni intricate e troppo importanti per lasciar parlare a vanvera un fico, qualsiasi anche se Presidente della Camera.

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