Oggi è il 4 Novembre. La maggior parte degli italiani penserà a questo giorno come uno qualsiasi, i più credenti ricorderanno San Carlo Borromeo, salvatore della popolazione di Milano dall’epidemia di peste descritta dal Manzoni, i “patrioti” penseranno alla Festa delle Forze Armate.

In tutti e tre i casi, tuttavia, si dimentica la ragione fondante.

Era il 4 Novembre 1918 quando il generale Armando Diaz leggeva il bollettino della Vittoria. L’Italia era uscita vincitrice dalla Prima Guerra Mondiale. Era l’Italia di Vittorio Veneto. Una guerra impegnativa per la nostra nazione, che la vide tentennare nella neutralità ed entrare in scena dopo aver cambiato schieramento internazionale con il Patto di Londra contro gli Imperi Centrali (Austria e Germania), che erano stati fino a poco tempo prima nostri alleati.

Numerosi furono gli errori e non mancarono le sconfitte ma alla fine si giunse alla vittoria, sebbene mutilata – come dirà d’Annunzio – dalle potenze dell’Intesa, che non volevano garantire la sovranità italiana sull’Adriatico, mare dalla grande importanza strategica. La guerra permise il compimento dell’unità nazionale da un punto di vista sia territoriale con l’annessione del Trentino, ultima zona limitata dalle Alpi, che culturale.

Fu l’occasione che sancì l’unità del popolo italiano tra meridionali e settentrionali, futuri fascisti comunisti e liberali, nel segno della fratellanza armata. Straordinari l’euforia e l’entusiasmo che scaturirono nello spirito legionario e ardito, vitalistico e onorevole, tragico ed eroico, forgiato nelle trincee.

Sentimenti che Ernst Jünger, allora soldato tedesco, descrisse bene in La battaglia come esperienza interiore. Un libro che ci spiega l’orrore umano nella prevalenza della ferinità sulla ragione, ma anche come il buon soldato deve essere in grado di gestire gli istinti sapendosi arricchire del senso dell’onore e del rispetto per il nemico.

Torniamo ora al presente. È per questo che bisogna resistere contro il potere globalista che domina la politica e ci fa dimenticare della nostra cultura, delle radici e dei confini che i nostri avi hanno difeso per un valore che considerarono più alto della vita: l’Italia. Bisogna porsi contro quell’autorazzismo permanente che la classe politica giustifica con la sua egemonia culturale e bollando l’onnipresenza “fascista”.

Quello del fascismo è un fenomeno storico irripetibile ed è vero che ha legato la sua nascita alla Grande Guerra. Tuttavia bisogna sempre mantenere saldo il senso critico, senza ridurre una storia complessa a una narrazione incompleta e faziosa.

Il 4 Novembre ci fa dunque comprendere come sia necessario avere una nazione forte in se stessa, conscia della sua importanza nello scacchiere geopolitico, che deve perciò dotarsi di una classe dirigente scelta perché capace, preparata e meritevole.

Non è dunque un’effemeride qualsiasi, ma un giorno che deve essere rosso sul calendario.

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