È evidente che il mondo arabo-islamico del Mashrek e del Maghreb[1] ha subito una involuzione sociale e spirituale:

  • involuzione sociale, perché quei paesi sono più poveri di prima[2] e solo pochi sono riusciti a fare qualche passo avanti nell’ambito del sociale dal momento della decolonizzazione;
  • involuzione spirituale, perché da una condizione di equilibrio tra laicità e religiosità, consolidatasi negli anni ’60, sono ora tutti soggetti alla pressione dell’Islam militante.       

Di chi è la colpa se il mondo arabo-islamico, soprattutto quello mediterraneo, è caduto dalla padella della colonizzazione alla brace di un’indipendenza che ha impoverito le popolazioni e di una degenerazione religiosa che ha visto un Islam «tollerante» diventare islamismo militante sempre più mentecatto?

In parte, la colpa è loro, dei loro usi e costumi e delle loro pastoie parentali, delle loro leadership (su tutte, a titolo d’esempio, la leadership palestinese che rispondeva ad Arafat e via via ai suoi successori, e del regime impiantatosi in Algeria dopo l’indipendenza).

Ma in gran parte è anche colpa nostra, della nostra miopia e della nostra rinuncia a condurre una politica estera in direzione del mondo arabo-islamico indipendente da quella statunitense (ci hanno provato Mattei, Andreotti e Craxi, ma sappiamo come è andata a finire…).

Tra il 1965 e il 2020, ho trascorso una cinquantina di anni in seno a quel mondo: in Marocco (dove tutt’ora vivo), in Libano, in Algeria, in Tunisia, in Iraq, in Yemen, in Giordania, e ho quindi avuto modo di vedere trascorrere il tempo sulle città e sui popoli, ed è per questo che – entro i limiti di una immagine che vuol avere il valore di uno schema (nel senso di un modello semplificato) rappresentativo non analitico – propongo le seguenti foto che, attraverso le donne, riassumono l’evoluzione negativa del mondo arabo-islamico, prevalentemente del Maghreb, il quale, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, ha iniziato ad essere interessato dall’onda lunga dell’islamismo militante che, partita dalla penisola arabica, ha investito prima l’Egitto (con la sua prestigiosa Università/madrasa fondamentalista El Azhar) e poi, dopo aver scavalcato la Libia di Gheddafi (in pratica un paese con dinamiche tutte sue, che non è né arabo né africano) e aver asperso la Tunisia di Ben Ali, ha travolto l’Algeria, lambito il Marocco e, con l’onda di reflusso delle primavere arabe, ha dato il colpo di grazia a Tunisia e Libia, fino ad allora risparmiate.

La didascalia, frutto dell’ironia dei popoli del Maghreb non lascia dubbi: «Difficile credere che le donne in alto siano le nonne di quelle in basso».

Si tratta di foto che evidenziano come la donna araba e musulmana del Maghreb e del Mashrek si presentava in società fino agli anni ’60 del XX secolo, prima che iniziassero a farsi sentire gli effetti dell’onda lunga dell’islamismo, effetti ben evidenziati dall’evoluzione del vestiario femminile, il quale, a partire dagli anni ’80 e ‘90, forse «spintaneamente», ha cominciato ad assumere la foggia della militanza islamista.

Ricordo bene quando – avendo vissuto di persona di quel periodo in cui l’onda lunga della follia islamista era ancora lontana – negli anni ’60, nel quartiere Maarif di Casablanca, abitato da una nutrita comunità di italiani e spagnoli cattolici (nonché da marocchini ebrei e musulmani) invitati (cosa che avveniva spesso), prendevamo parte alle diverse ricorrenze. Ad esempio, proprio nel quartiere di Maarif, il 15 agosto veniva svolta la processione della statua della Vergine Maria della chiesa italiana del Sacro Cuore (alla quale presenziavo con i miei genitori), cosa che mi consta avvenisse anche nel quartiere La Goulette di Tunisi. Eventi che, a partire dagli anni ’70, sono andati scomparendo.

Cosa ha innescato l’onda lunga dell’islamismo militante?  Semplice: il naufragio dell’idea della Grande Nazione Araba di stampo Ba’athista, laica ma non atea, religiosa ma non islamista.

Naufragio attribuibile alla dabbenaggine di noi europei troppo avvezzi, dopo il 1945, a seguire bovinamente la politica estera statunitense, da sempre incentrata su se stessa e su interessi che non sono mai andati oltre il momentaneo tornaconto da business-man.

Il fallimento della Grande Nazione Araba Ba’athista ha reso orfani i popoli del mondo arabo-islamico della loro identità e ha causato un progressivo irrigidimento della componente musulmana – sollecitata da istanze provenienti dal Medioriente islamico – che si stava facendo sempre più militante, in quanto, fallita appunto l’idea della Grande Nazione Araba, quelle popolazioni si sono orientate verso i due principali fattori identitari comuni:   

  • sul piano politico, l’antisionismo;
  • sul piano ideologico, religioso e identitario, l’Islam.

Ciò si è verificato in quel particolare periodo storico che è seguito alle varie decolonizzazioni e alla israelizzazione della Palestina, periodo che ha coagulato le spinte laiche di quel mondo intorno ad una spiritualità comune, che a quei tempi era ancora scevra da derive integraliste, dal momento che wahhabiti e Fratellanza musulmana erano tenuti ben a bada da personaggi arabo-musulmani e ba’athisti del calibro di Nasser, Sadat, Saddam, Afidh El Assad, che avevano i maschi attributi per opporsi alla tracotanza wahhabita con i suoi petrodollari e alle mene sottobanco dei Fratelli Musulmani.

Ero un bambino quando sono giunto in Marocco, e non avevo coscienza di cosa fossero l’integrazione e la tolleranza che tanto infervorano le moderne anime belle, ma ricordo che queste problematiche, adesso tanto “à la page”, allora non erano sentite per niente e il musulmano di cui ho avuto contezza quando sono stato più grandicello, era un uomo come me al quale non fregava niente di convertire l’orbe anche con la forza.

Ricordo che i miei compagni di classe marocchini, che frequentavano la scuola secondaria italiana di Tangeri, erano sollecitati dalla questione palestinese e non disdegnavano di evidenziare la bontà di quella causa (alla quale avevano comunque già attribuito una benché leggera sfumatura musulmana, anche se molti palestinesi, occorre dirlo, erano cristiani), ma niente più; ricordo che, si era instaurato una sorta di annacquato “apartheid”, confacente ad entrambi, a causa delle oggettive differenze di usi e costumi che a volte potevano anche cozzare, ma si conviveva in classe e fuori dalla scuola in santa tolleranza reciproca senza nemmeno rendercene conto.

Il tarlo dell’integrazione e della tolleranza a tutti i costi, insinuato nelle menti a suon di slogan su «quanto siamo razzisti, cattivi e intolleranti noi europei», non aveva ancora attecchito ed era naturale che il musulmano facesse il Ramadan mentre l’europeo no, senza che questo suscitasse, come avviene adesso, risentimento nell’animo del musulmano.  

Adesso che il Ramadan, l’abbigliamento in generale, il velo femminile in particolare, i divieti alimentari, le esternazioni religiose, etc. per il musulmano sono diventati delle bandiere intorno alle quali stringersi per evitare di farsi sommergere da usi e costumi imposti da nazioni interessate solo al proprio tornaconto economico e finanziario – scevro da ogni etica riconducibile a quella che ha caratterizzato, per esempio, la dominazione romana (e che, più recentemente, ha fatto strame dell’etica mercantile inaugurata da Mattei) – è ovvio che quell’equilibrio sia andato a ramengo.   

A conclusione di questo breve escursus ecco un’altra foto che circola sui social maghrebini, e ritrae un gruppo di «cittadine francesi».

La chiosa è tutta un programma: «Se loro sono cittadine francesi, noi siamo dei pastori tedeschi».                   


[1] Mashrek = Medioriente (dal Mediterraneo al Mare Arabico); Maghreb = Occidente (dalla Libia al Marocco).

[2] Fatta salva ovviamente la ricchezza dei paesi produttori di petrolio, che comunque non hanno realizzato nessun progresso sociale.

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