All’interno della feroce e fanatica battaglia culturale scatenata dal movimento Black Lives Matter – che apparentemente parte dal basso e dalle frange della sinistra radicale americana, ma che vive e si sviluppa a livello mondiale grazie all’unanime promozione di mass media, grandi aziende, istituzioni finanziarie e mondo universitario – non è da dubitare da che parte si schieri il candidato democratico Joe Biden.

Certo, l’ex vice di Obama punta chiaramente ai voti moderati, quelli della gran massa di americani scarsamente politicizzati che nel 2016 hanno fatto mancare il loro appoggio a Hillary Clinton. Per questo, in diverse dichiarazioni, si è smarcato dalle pretese più massimaliste del movimento BLM e affini. D’altra parte, dichiarare di auspicare la soppressione della polizia o altre amenità, non è certo una cosa che un candidato presidente possa concedersi facilmente.

Tuttavia, recentemente, Biden si è lasciato andare ad una esternazione di non poco peso. Ha infatti dichiarato che, in caso di sua vittoria, la società americana si dovrà “trasformare” per sanare i propri conflitti interni.

Leggendo tra le righe è ben facile capire che la precisa volontà sostenuta dai liberal americani sia quella di marginalizzare, colpevolizzare, censurare, anestetizzare l’opinione pubblica bianca, la cui classe media, ma anche medio-bassa, ha abbandonato il voto democratico a favore di quello repubblicano, per appoggiarsi sempre più al variegato blocco delle minoranze etniche, compattate sociologicamente quasi unicamente dal voto dem.

Tale strategia, egualmente operata dai partiti di centrosinistra in Europa, ha da una parte uno scopo piuttosto palese ovvero sostituire la propria base elettorale con un’altra, compattata dai temi della rivendicazione ideologica (e perciò a cui si può anche evitare la noia di concedere alcunché di concreto).

Mitterrand, alla promozione delle grandi manifestazioni antilepeniste organizzate a cavallo tra anni Ottanta e Novanta da parte di S.O.S. Racisme, confessava che la sinistra, in vista della perdita del proletariato operaio, aveva necessità di sfornarsi un nuovo proletariato posticcio, quello dei migranti, una nuova classe sociale di dannati e martiri della Terra da ergere così a proprio popolo eletto.

Negli USA, per vedere come la crescita demografica delle comunità ispaniche rischi di compromettere la mappa elettorale, basti pensare che il Texas, secondo diverse proiezioni, potrebbe passare al campo democratico, in queste elezioni o alle prossime, per mero effetto della migliore dinamica demografica delle ‘minoranze’ rispetto alla popolazione bianca.

Detto questo, tuttavia, si può scorgere anche un tema più specifico per il quale l’establishment liberal abbia scatenato proprio prima di queste elezioni un tale pandemonio. Forse non tutti si ricordano che tra i primi atti di Trump presidente vi fu il siluramento del TTIP, il trattato di costituzione di un’area di libero scambio USA-UE. Prima della pietra d’inciampo dell’amministrazione Trump, era cioè in cantiere un robusto progetto volto a stringere i legami tra le due sponde dell’Atlantico. Il tutto ovviamente con indebolimento delle rispettive sovranità.

In Europa abbiamo già visto gli esiti di tali processi. È la strategia del massone Jean Monnet, uno dei “padri fondatori” di questa Europa, il quale, sagacemente, teorizzava che le cessioni di sovranità dovessero compiersi con processo estremamente lento e sempre sotto forma di trattati economici, spesso percepiti neutralmente della varie opinioni pubbliche.

In quest’ottica, è evidente che una amministrazione Biden farebbe di tutto per riavviare a pieno regime i motori della costituzione di un mercato unico nordatlantico. Di lì il solco sarebbe segnato: mercato unico, ricerca di forme di allineamento monetario tra dollaro e euro, moneta unica, coordinamento fiscale, integrazione politica.

A non digerire questa prospettiva, nel bene o nel male, è in prevalenza la comunità bianca in America, quella che crede nell’eccezionalismo del proprio paese – come ribadito da Trump in un discorso elogiativo del retaggio americano al Monte Rushmore – che, insomma, sarebbe sì disposta a battersi per mantenere il ruolo egemonico e imperiale dell’America, ma non al costo di sciogliere l’America stessa in una struttura sovranazionale con Europa, Canada etc…

A questi fini, risulta sommamente utile la furia giacobina del BLM con cui si attacca il passato dell’Occidente (sia in America che in Europa). Tale furia Nietzsche l’avrebbe definita propria dello “spirito critico della storia”, ovvero di quello spirito che, guardando al passato, non ne trae fonte di ispirazione, ma ne fa solo mezzo di cesura, capo di imputazione e strumento probatorio per fondare una critica del proprio mondo e darsi una possibilità di reinvenzione nel presente.

Abituando gli americani a voler “trasformare” l’America, Joe Biden, in fondo, gli sta dicendo che si devono abituare a non considerare l’America come un qualcosa degno di difesa, di attaccamento, visto che magari è per di più colpevole di innumerevoli atrocità e misfatti. Qualcosa, insomma, che vada rimosso, come sono da rimuovere tutte le nazioni dotate di sovranità

Evidentemente, per quanto possiamo noi sentire l’America come estranea al nostro essere, mediterraneo, romano, italiano, europeo, cattolico, non possiamo negare che le sorti delle nazioni di questa sponda dell’Atlantico vadano (purtroppo) ancora a rimorchio di quanto accade a Washington.

Una vittoria di Biden significherebbe non solo la vittoria culturale del modello della “open society”, quanto anche una sua affermazione istituzionale, con ampie ricadute in termini di rimessa in moto della macchina mondialista.

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