Il Mare Nostrum è uno dei principali teatri di scontro tra grandi e medie potenze, nel quale si concentrano gli interessi strategici fondamentali, di tutti i principali attori della geopolitica internazionale.

Storicamente presidiato dalla VI flotta statunitense, alla stregua di un monopolio geografico conquistato con la vittoria della II Guerra Mondiale, oggi il Mediterraneo è visibilmente conteso da altri attori, che cercano di guadagnare progressivamente una sempre maggiore influenza, in un bacino che rappresenta, strategicamente, il principale snodo dei traffici marittimi internazionali.

La Turchia e la Russia sono certamente due degli attori maggiormente attivi delle nuove strategie nel Mediterraneo Orientale.

I turchi, sin dalla fine dell’Unione Sovietica, sognano una rimonta esclusiva, che li trasformi nuovamente in una superpotenza – come promesso dapprima da Ozal e successivamente da Erdoğan.

L’importanza strategica del Mediterraneo Orientale, per la Repubblica Turca, emerge certamente dalle convinzioni geopolitiche e dalle strategie difensive dei maggiori esperti militari del paese.

Uno dei tasselli fondamentali, per ragioni di difesa territoriale, è sicuramente la questione Libica. Per la Turchia, la difesa della patria passa obbligatoriamente dai territori e dagli specchi d’acqua che cingono la penisola. Già nel 1911 il Generale Mustafa Kemal Atatürk, decise di combattere l’invasione italiana in Libia, per guadagnare spazio territoriale utile a difendere la nazione dall’esterno.

Per questo motivo l’Anatolia, ancora oggi, sceglie una politica di difesa basata anzitutto sulla superiorità navale, stanziata per lo più nei riquadri nordafricani del mediterraneo ed in quelli eurasiatici del Mar Nero.

La difesa costiera dell’Hatay, territorio di grande importanza strategica per la penisola, è essenziale per prevenire le mire di Mosca, in Siria. Non è un caso che il Mig russo abbattuto nel 2015 dai caccia turchi, stesse sorvolando l’area di Alessandretta. I maggiori strateghi militari asserirono, che la vera posta in gioco fosse l’Hatay e che la contesa con Mosca nell’alta Siria avesse una prevalente dimensione mediterranea.

D’altronde la presenza russa in Siria non è certo mirata alla difesa di Bashar al-Assad, bensì dalla volontà di ricavare un margine di manovra nel Mediterraneo Orientale per garantirsi l’ingresso nell’Oceano Indiano.

Anche per la Turchia il tentativo di controllo della Siria potrebbe risultare una mossa rischiosa. La Russia ha dovuto ammettere che Ankara si è dimostrato un valido rivale, per il sapiente uso della guerra elettronica durante le operazioni militari denominate “Scudo di Primavera”.

Tuttavia, qualora la Russia decidesse di radicarsi in Siria, la questione potrebbe sfociare in una guerra aperta, che, contrariamente al pensiero comune, potrebbe rivelarsi un vero e proprio “Vietnam” per il Cremlino. Al contrario, Erdoğan potrebbe aprire le trattative per una spartizione al 50% della ricostruzione siriana, in cambio di un aiuto a Cipro: “Se per stabilizzare la Siria, Putin ha bisogno di Erdoğan, per annettere Cipro Nord, Erdoğan ha bisogno di Putin”. Il disastroso risvolto della spartizione russo-ottomana della Siria è certamente un epilogo di morte per Al-Assad.

La verità sulla guerra Siriana è verosimilmente alla portata di tutti: riguarda gli interessi turchi sul gasdotto greco-israeliano, che potrebbe aggirare la penisola anatolica escludendola dai remunerativi affari energetici.

Diversa invece, la strategia per i versanti che si affacciano al Dodecaneso ed all’Italia. Un accordo sulla spartizione delle acque territoriali del Mediterraneo Orientale tra la Turchia ed il governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli ha recentemente sancito un congiungimento di Ankara al nord Africa, occupandosi di separare fisicamente soltanto le zone economiche esclusive di Cipro e di Creta: un trattato particolarmente importante, poiché rimodula la funzione della regione Cirenaica ad un punto cruciale di presidio difensivo della penisola Anatolica.

Grazie agli effetti di questo accordo, la Turchia ha trovato lo spazio necessario per eseguire importanti operazioni militari in Libia, che hanno inflitto ingenti danni umani e materiali alle forze cirenaiche sostenute da Russia, Egitto ed Emirati Arabi, ribaltando le sorti del conflitto e rompendo l’assedio di Haftar a Tripoli.

Ma questo trattato ha una valenza ben più strategica per la Turchia, che vorrebbe annettere l’area nord di Cipro, per il controllo delle acque territoriali, ricche di idrocarburi.

La Grecia, si mostra ostile all’idea turca di creare un “lago mediterraneo controllabile”, annettendo una metà d’isola strategicamente importante dal punto di vista geopolitico e commerciale. La questione di Cipro Nord, considerate le pressioni della Francia, di Israele, della Grecia e degli Emirati Arabi, potrebbe rivelarsi una seconda Libia nel Mare Nostrum.

Mentre  a Cipro è in gioco la sopravvivenza commerciale ed in Siria lo status di potenza regionale, a Suez e nel Mar Rosso si deciderà se i turchi torneranno nel club dei grandi della Terra. La grande strategia marittima turca è infatti perfettamente speculare a quella dell’Arabia Saudita. Ankara ambisce a proiettare un’influenza decisiva sulla rotta compresa tra gli stretti turchi ed il Golfo di Aden, come rivelano gli avamposti militari di Doha e Mogadiscio. Con lo sguardo rivolto verso le gli oltre 100 milioni di musulmani del subcontinente indiano, strumento principale del potere anatolico. Lo scontro frontale è inevitabile. La presenza militare turca in Qatar è intesa come una minaccia assoluta alla sicurezza del Golfo.

Anche Xi Jinping è certamente uno dei nuovi protagonisti dell’area mediterranea orientale, con l’acquisizione del porto greco del Pireo. Erdoğan, sta facilitando le manovre di scambio commerciale investendo su nuove infrastrutture, come il “Corridoio Centrale”, che connette Istanbul alla Cina; infrastruttura strategica per la Via della Seta, insieme al nuovo aeroporto di Istanbul, il Marmaray ed il ponte autostradale sul Golfo di Izmit.

L’Italia resta a guardare. Per proiettare la nostra influenza sul Mediterraneo, bisogna essere disposti a premere il grilletto, utilizzando lo strumento militare. Manca il mordente, non solo per ragioni legate al famoso Articolo 11 della Costituzione, bensì per assenza di preparazione e di coraggio della maggior parte degli attori politici che governano la Nazione.

Le posizioni e gli interessi italiani in nord Africa sono ormai perduti. In larga parte delle nostre aree di influenza siamo stati rimpiazzati dalla Turchia e dalla Francia: la vicenda “Aisha Romano” è abbastanza esaustiva per comprendere appieno la situazione.

È palese la codardia di sedicenti statisti, disposti a pagare un ingente riscatto ad una cellula terroristica, creando un pericoloso precedente. È palese la distruzione della nostra influenza, quando siamo costretti a chiedere aiuto ai servizi segreti Turchi, sul territorio somalo… dove fino al 1994 il Tricolore, sventolava libero sui cieli di Mogadiscio.

Se le politiche nazionali non cambieranno radicalmente, l’unico ruolo che avremo sulla scacchiera del Mediterraneo sarà quello della preda.

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