La misericordia è il cardine sul quale è imperniata tutta la cantica del Purgatorio.
Nel III canto, al verso 120, Dio è definito da Dante come “quei che volentier perdona”.
Il sommo poeta spiega nel Convivio, su un piano quindi più terreno, che la misericordia è un effetto della pietà.
Scrive, esattamente:
E non è pietade quella che crede la volgar gente, cioè dolersi de l’altrui male, anzi è questo uno suo speziale effetto, che si chiama misericordia, ed è passione: ma pietade non è passione, anzi è una nobile disposizione d’animo, apparecchiata a ricevere amore, misericordia e altre caritative passioni.
Si potrebbe quasi dire che la misericordia è la passione del raggiungere Dio, col suo immenso e supremo amore, che nasce negli spiriti più pii e puri.
La misericordia appartiene altresì agli angeli.
I versi 58-60 del XVII del Purgatorio esprimono quel che sentenzia Virgilio dopo che l’angelo della mansuetudine aveva indicato la via senza che gli fosse stato richiesto:
Sì fa con noi come l’uom si fa sego; ché quale aspetta prego e l’uopo vede, malignamente già si mette al nego.
L’angelo si era comportato con Dante e Virgilio come gli uomini usano fare solo con se stessi (sego,”se-cum), poiché sulla Terra chi aspetta la preghiera di aiuto, quando ha già visto il bisogno, malignamente già si predispone a negare il soccorso.
La misericordia è quindi una virtù angelica, cioè la capacità di accorrere in aiuto alla sola vista della necessità, senza alcuna richiesta verbale esplicita.
È questo uno dei momenti più alti non solo del Purgatorio ma di tutta la Divina Commedia: una sfida a superare l’egoismo in modo compassionevole ed attivo.
La finezza estrema di questi versi è nella lettura psicologica di una realtà banale, quella di mettersi sulle difensive col nego e allo stesso tempo nell’aspirazione ad un cielo angelico e quindi divino pieno d’Amore.
Ogni cantica della Commedia, è noto, si conclude con la parola stelle e quindi la misericordia è il mezzo per ascendervi e arrivare a Dio, rendendoci liberi e realizzati nella nostra essenza.
Liberi perché sollevati dal fango della quotidianità e realizzati perché possiamo giungere a Dio seguendo virtute e conoscenza.
La misericordia è invece sottintesa, implicita, connaturata, nel Paradiso, perché ormai acquisita dopo l’esperienza del Purgatorio.
E quando Dante, al diciottesimo verso dell’ultimo canto, vede Maria, esclama: “In te misericordia, in te pietade…”
È l’unica volta, nella cantica, che viene nominato la misericordia e viene premessa alla pietà poiché nella Vergine non è uno speziale effetto o una passione della pietà, ma è perfettamente e divinamente insita.
Ed è allora che Dante giunge alla visione di Dio.