L’articolo di oggi prende il nome da un bel film, che è ambientato durante la seconda guerra mondiale nel 1942, a Guadalcanal (La sottile line rossa di Terrence Malick – 1988. Il titolo è mutuato da un verso del poema Tommy di Kipling e fa riferimento alle vicende delle truppe inglesi in Crimea durante la battaglia di Balaklava del 1854 – Ndr)
A differenza delle classiche pellicole belliche che spesso si concentrano sulle grandi narrazioni questa opera utilizza lo scontro militare per focalizzarsi sulle principali tematiche che albergano nella nostra mente: vita, morte, angoscia, trascendenza, dolore, volontà e responsabilità sono concetti che necessitano di una risposta e vengono toccati ed affrontati dal protagonista, stimolato in modo filosofico dallo scenario catastrofico.
Una parte che mi ha particolarmente colpito è il non-senso che assorbe una fetta del film, infatti c’è una dimensione estremamente “dura” dove il vivere e il morire sembrano unirsi per diventare la stessa cosa, scavalcando quindi una sottile linea rossa che li divideva.
Attualmente penso che questo scenario è presente in modo netto anche nel mondo contemporaneo, posso tentare di dimostrare la mia tesi riflettendo su due pratiche ormai sdoganate ovvero l’aborto e l’eutanasia, realtà accettate, apprezzate e ritenute fondamentali che sono collegate rispettivamente al vivere e al morire.
Guardando con attenzione il pensiero dominante possiamo comprendere che l’accettazione dell’aborto rende la vita un valore relativo, tutto ciò rende alienante a sua volta anche il discorso della morte. Scomparsa la genesi del mistero del vivere e reso ancora più ambiguo il perire cade anche lo scopo e l’orientamento dell’esistenza: è normale che lo stesso esserci (sulla scia di Heidegger) resta un interrogativo atroce, il percorso diventa insensato e assurdo, dimenticandosi che ogni viaggio ha la necessità di un inizio e di un fine, e che ha bisogno sempre diinterrogarsi sul “da dove” e sul “verso dove” per coniare Ratzinger.
La sottile linea rossa è in parte scavalcata: compromesso il passato e il futuro resta devastato il presente che è totalmente distopico e si arriva a una dimensione nuova dove i suicidi sembrano essere la normalità, la depressione una routine e l’ansia una realtà onnipresente.
Le due pratiche pratiche citate ci dicono chiaramente che l’uomo diventa apparentemente “libero” di deliberare sulla vita, confessando in modo pubblico che le fonti del valore più alte sono le mie scelte, queste precedono anche la mia esistenza, e questo è un messaggio che rende il vivere qualcosa di oggettivamente insignificante nella società.
Non c’è da stupirsi nel vedere come anche il morire prende una doppia forma: da un lato la morte è esorcizzata, perché il neoliberismo la odia dato che coincide con la fine della produttività, mentre dall’altro è esaltata come quella certezza granitica che sembra dirci che “tutto è vanità”. Non possiamo ignorare in questo caso che i binari iniziano a prendere un percorso sui generis tanto che tra i funerali abbreviati, le condoglianze sui social e il vivere sempre in potenza e mai in atto ci dipinge un mondo che si scorda del perire.
Nello stesso tempo la fine viene utilizzata solo per sacralizzare le pellicole di Tarantino, per venderci i giornali e le inchieste di cronaca nera, e per ricordarci che nel mondo l’unica sicurezza è quella del morire (santificando quindi il nichilismo più puro).
Ma la morte trae la sua certezza dalla vita, che è una premessa fondante: prima di accettare la fine c’è da ammettere per forza che c’è un inizio, quindi il vivere e morire sono realtà collegate,ma la realtà che può “creare” la morte proviene dal regno della vita.La nostra riflessione non può fermarsi però su queste note, resta infatti evidente che proprio l’esserci e la vita stessa oggi non hanno più nessun tipo di interpretazione possibile, e come possonoaverlo in una società dove ci giriamo e troviamo cliniche per il suicidio?
Come si può respirare un messaggio che riveste di valore la vita stessa, quando la nascita è ormai in Europa una realtà astrattafiglia del calcolo e dell’utilitarismo? Che significato può avere la morte quando le basi del vivere restano una semplice questione di punti di vista?
Non c’è più nessun messaggio che ci parla della vita, non c’è più nessun valore non negoziabile nel mondo post religioso, e non c’è nessuna possibilità di rilegare il vivere e il morire attraverso una sottile linea rossa che gli conferisce senso e simmetria; proprio questi elementi bagnati nella trascendenza (specialmente della fede cattolica) danno un nuovo senso alla vivere, che è in grado successivamente di inglobare e collegare al suo interno il dolore, il bene, il male, e ogni altra cosa.