Dimensione identitaria oppure deriva globalista. Il cattolico cosa deve scegliere?

Per rispondere – com’è nel nostro stile – cercheremo di essere sintetici, chiari e utili. Speriamo di riuscirci.

La dottrina cattolica parla chiaro: la patria è un valore. L’appartenenza ad un popolo e ad una nazione non è qualcosa di cui (ordinariamente) si possa fare a meno. Dio ha creato l’uomo come essere “naturalmente sociale” (secondo la nota espressione di Aristotele), pertanto la Provvidenza vuole che l’uomo viva all’interno di una società e in questa possa non solo trovare gli aiuti indispensabili alla sua natura (la quale non è autosufficiente), ma anche la possibilità di esprimere i propri sentimenti e riconoscere in essa la propria cultura e il proprio destino.

L’appartenenza nazionale rientra nell’ordine naturale, così come la famiglia. Tant’è che (ordinariamente) ogni uomo deve realizzarsi materialmente e spiritualmente all’interno di queste due comunità. Si tratta di realtà così importanti che la Teologia Spirituale afferma che per esse la Provvidenza conceda anche un angelo custode. A Fatima le apparizioni della Vergine furono precedute da un angelo che si definì come “Angelo del Portogallo”.

Da qui l’importanza di circoscrivere l’identità. Infatti, non è possibile alcuna identità senza che sia facilmente definibile. I confini hanno una ragione ben precisa. Una ragione geopolitica, ma anche culturale. Il cosmopolitismo non può essere considerato un valore cristiano, ma un errore illuminista e neo-illuminista.

Il cosmopolitismo, ovvero la convinzione di essere cittadini del mondo, è cadere in una sorta di incontrovertibile anonimato culturale e territoriale, è l’effetto di due presupposti tipici dell’Illuminismo: antropologico e teologico.

Un presupposto antropologico. Secondo la concezione illuministica l’uomo va considerato nella natura sensibile (sensismo). E’ ciò che affermò La Mettrie: “L’uomo è una macchina”. Una convinzione di questo tipo impedisce di ritenere la cultura (che ha una natura spirituale) come fattore su cui definire il proprio essere e il proprio esistere. Da qui la svalutazione di ogni riferimento identitario, come esito appunto dell’incapacità di capire l’importanza che questo possa e debba avere nella vita del singolo.

Ma – abbiamo detto – il cosmopolitismo illuministico è esito anche di un presupposto teologico, identificabile nel deismo. Questo afferma che Dio esiste, ma si tratterebbe di un Dio lontano, distaccato, disinteressato delle faccende umane. Un Dio che non cura, che non accompagna, che non si fa riconoscere in ciò che l’uomo pensa, costruisce e organizza. Da qui la convinzione che il mondo sia tutto uguale. Se Dio è lontano, allora anche la realtà diviene lontana da ciò che l’uomo costruisce. E diviene anche impietosamente “piatta”, anonima, standardizzata.

Il Cristianesimo, invece, è su un altro piano. Il Cristianesimo non ha nulla contro i confini, né contro i tentativi di “proteggere” il proprio sistema identitario. Certamente non nella convinzione che ogni sistema culturale abbia identico valore e che non esistano civiltà più vicine alla Verità e civiltà meno vicine alla Verità; no, non si tratta di questo. Si tratta piuttosto di convincersi che il proprio riferimento identitario è cosa preziosa: è il tesoro che si è costruito soffrendo, sacrificandosi, combattendo e immolandosi.

Il generale vandeano, François-Athanase de Charette de La Contrie, combattendo i giacobini, così si espresse sulla patria: “La nostra Patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra Patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro re. Ma la loro patria, che cos’è? Lo capite voi? Vogliono distruggere i costumi, l’ordine, la Tradizione. Allora, che cos’è questa patria che sfida il passato, senza fedeltà, senz’amore? Questa patria di disordine e irreligione? Per loro sembra che la patria non sia che un’idea; per noi è una terra. Loro ce l’hanno nel cervello; noi la sentiamo sotto i nostri piedi, è più solida. È vecchio come il diavolo il loro mondo che dicono nuovo e che vogliono fondare sull’assenza di Dio… Si dice che noi saremmo i fautori delle vecchie superstizioni… Fanno ridere! Ma di fronte a questi demoni che rinascono di secolo in secolo, noi siamo la gioventù, signori! Siamo la gioventù di Dio. La gioventù della fedeltà”.

Scrive san Pio da Pietrelcina: “Se la patria ci chiamerà, dobbiamo ubbidire alla sua voce; se questa chiamata c’impone dolorose prove, accettiamole con rassegnazione e con coraggio.” (Epistolario, I, 259)

Corrado Gnerre

(Articolo pubblicato dal sito “Il cammino dei tre sentieri” in data 16-12-2021)

Articolo precedenteL’agire e l’essere
Articolo successivoLibertà di pensier(in)o