Pope Francis looks on at the end of a mass marking the 50th anniversary of Pope John XXIII's death in St. Peter's Basilica at the Vatican June 3, 2013. REUTERS/Tony Gentile (VATICAN - Tags: RELIGION) - RTX10AJG

In data 16 luglio 2021 Papa Francesco (eletto il 13 marzo 2013), con la Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio “Traditionis Custodes”, ha abrogato il Motu Proprio “Summorum Pontificum” del 2007 di Papa Benedetto XVI (2005-2013), che aveva riconosciuto la celebrazione della Santa Messa secondo il rito tridentino e con l’utilizzo del Messale rivisto da san Giovanni XXIII (1958-1963) “espressione straordinaria della stessa lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino”.

Il Pontefice regnante, invece, nell’articolo 2, non solo ritorna ad attribuire al Vescovo diocesano l’autorizzazione dell’uso del “Missale Romanum” del 1962, ma stabilisce, nell’articolo 1, che solo i libri liturgici promulgati dai Papi san Paolo VI e san Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II, costituiscono “l’unica espressione della lex orandi del Rito romano”.

L’intento di Francesco, che come spesso accade incrementa solo tensioni pervenendo ad esiti peggiori rispetto ai “buoni” propositi (nel caso di specie, evitare un “uso distorto” della Messa celebrata secondo il Vetus Ordo), non tiene minimamente conto della funzione catechistica del rito antecedente la riforma liturgica post-conciliare, soprattutto in un contesto in cui il livello di preparazione filosofica e teologica di molti Ordinari e presbiteri (fortunatamente non tutti) è al limite dell’imbarazzo, con evidenti ripercussioni sulla cura d’anime del gregge loro affidato.

Ed è, forse, anche per questo motivo che non mancano i giovani “colpiti” dal Santo Sacrificio celebrato nella forma straordinaria. La Santa Messa tridentina, infatti, è il luogo ed il momento dove la purezza della fede è integralmente conservata e misticamente trasformata in atto di lode e di supplica a Dio. Si tratta della fede sia nel suo aspetto oggettivo, la fides quae, ossia, nel linguaggio teologico, le cose in cui crediamo e a cui diamo la nostra totale adesione, sia in quello soggettivo, la fides qua, per mezzo della quale affidiamo a Dio la nostra vita con le sue gioie e i suoi dolori, le sue speranze e le sue angosce.

In altri termini, in maniera molto più mirabile rispetto al Messale del 1970, il vecchio (ma sempre attuale e potente) rito riassume magistralmente l’impianto storico-salvifico che va dalla creazione del mondo alla morte e risurrezione di Cristo. Nell’epoca del trionfo della pastorale, che favorisce un clima di relativismo dottrinale e, dunque, delle Verità stesse rivelate da Dio, ci si dimentica che, nella storia della Chiesa, il discrimen tra ortodossia ed eterodossia è stato spesso caratterizzato dalle fonti della liturgia.

Ci protegga, allora, il Papa san Pio X (1903-1914), il più grande, diceva san Pio da Pietrelcina (1867-1968), fra tutti quelli che si sono succeduti sul trono di Pietro, davanti al neomodernismo imperante e al silenzio di una Chiesa che sta, in realtà, dando ragione a quei “profeti di sventura” tanto biasimati da Giovanni XXIII in occasione del discorso di apertura del Concilio Vaticano II (il c.d. Concilio “pastorale”) l’11 ottobre 1962.

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