european union flags at the EEC building in brussels, belgium.

Il libro di Sarah Mosele, un circostanziato j’accuse contro i luoghi comuni utilizzati per criminalizzare l’idea sovranista, dà lo spunto per affrontare questa importante fase critica della costruzione europea che, da sempre attenta ai riflessi d’ordine economico-finanziario, continua a trascurare altri passaggi di rilevante importanza.    

Affermava Joseph De Maistre: «Non esiste l’uomo nel mondo. Nel corso della mia vita io ho conosciuto francesi, italiani, russi; grazie a Montesquieu so anche che si può essere persiani; ma in quanto all’uomo dichiaro di non averlo mai incontrato».

Esiste o è mai esistito almeno un “Homo Europæus”, capace di ridimensionare l’obiezione demaistriana? Ed è mai esistita un’Europa radunata sotto un unico segno unificante?

Certamente gli uomini europei hanno dimostrato la condivisione di una dote, la volontà. Volontà di potenza che li ha resi protagonisti – come viaggiatori, esploratori, pionieri, mercanti, soldati, colonizzatori – in ogni angolo della terra. Volontà di eccellere che ha conseguentemente condotto le nazioni europee ad una ininterrotta sfida per il predominio continentale, che solo la pace di Westfalia, dopo le sanguinose guerre dei Trent’anni, riuscì in parte a regolare col varo di uno Ius Publicum Europæum, uno statuto di reciproco riconoscimento di legittimità che impediva guerre di annientamento e pretese di monopoli di giustizia, limitando l’estensione dei conflitti e inaugurando un periodo di relativa non-belligeranza continentale; interrotta dalla pretesa rivoluzionaria di esportare gli immortali principi negando diritto di esistere alle “tirannie” monarchiche o, durante la prima guerra mondiale, da quella degli stati liberali di rovesciare gli imperi centrali accusati di autoritarismo.

Oggi c’è un nuovo approccio ideologico che pretende di costruire uno spazio continentale omogeneizzato su improbabili basi paritarie e fondato su una filosofia puramente economica. E qui proviamo a rispondere alla seconda domanda: è mai esistita un’Europa radunata sotto un unico segno unificante? 

La Storia ci dice di no e non è certo l’esistenza degli imperi, da quello carolingio al romano-germanico e quelli successivi a dirci il contrario, essi avendo rappresentato solo una parte della “civiltà” europea, in realtà frazionata dalla lingua, dalle leggi, dai costumi e poi anche dalla religione.

E anche dal punto di vista geopolitico, il nostro vecchio e caro continente pecca di coerenza, visto che ogni sua porzione deve fare i conti con interlocutori ed esigenze differenti: c’è un’Europa atlantica, una continentale, una che guarda alle sterminate pianure dell’est, una mediterranea, a sua volta divisa fra orizzonti africani e vicino-orientali.

Il fatto è che è stata proprio la mancanza – o l’incapacità di cogliere, ma qui il discorso sarebbe troppo lungo – un sufficiente comune sentire a far nascere l’idea di una unione europea fondandola su basi prettamente mercantilistiche nella speranza che il resto venisse da sé.

Ma così non è stato perché ogni nazione ha continuato e continua a farsi bellamente – e legittimamente – gli affari propri. O forse qualcuno pensava che Francia e Inghilterra potessero invitare al tavolo da pranzo delle loro rispettive politiche estere tutti i loro partner? O che la seconda rinunciasse alle sue prerogative fiscali o che la Germania accettasse di condividere le rendite derivanti dalla sua tecnologia con gli altri? Né si è mai vista un’entità statuale integrata sotto il profilo economico ma acefala politicamente; e qui sta il nodo del problema.

“Cedere sovranità” è la risposta che ci viene data come panacea della debolezza politica – e quest’Italia zelante e senza nerbo non vede l’ora di cederne ancor di più di quanto richiestole – ma l’ipotetico governo federale che dovrebbe colmare, a nome di tutti gli euro-membri, la minor sovranità di ciascuno di essi, da chi dipenderà? Date le limitate competenze del parlamento di Bruxelles, l’unico organo democratico della struttura comunitaria, il comando delle operazioni risiede ora nella BCE, nel Consiglio d’Europa, nella Commissione dove il peso politico delle nazioni più forti si fa evidentemente sentire, com’è ovvio che sia, ed è da ingenui pensare che l’eventuale futura autorità sovra-nazionale non ubbidirà alla medesima logica.

E qui entra in gioco un altro fattore, che è quello della legge per eccellenza che si è data la nazione, cioè la Costituzione; che ammette cessioni di sovranità ma in maniera tale che essa non sfugga al controllo del suo legittimo titolare, il popolo e che la forma repubblicana (che non riguarda solo la forma di stato – repubblica vs monarchia – ma l’effettività delle sue istituzioni, il parlamento e la sua funzione in primis) sia preservata.

Il Sovranesimo s’inserisce in questa evidente crepa, che è giuridica ma al tempo stesso storica e politica. Non è esso a crearla, questa frattura, perché già esiste e non può essere ricucita attraverso chirurgie artificiose e dogmatiche.

Quanto costerà al nostro Paese il raggiungimento di un equilibrio economico-finanziario su scala europea in termini di interessi nazionali? Quell’obiettivo non può costituire l’unico criterio per valutare la bontà di un progetto comune, se poi in cambio di ciò i cultori della Dea Europa sacrificano in suo nome la Legge, l’autonomia politica, l’autorità dello stato, gli interessi suoi e di tante fasce di lavoratori, significative quote della nostra produzione, i confini faticosamente conquistati dopo secoli di lotta.

Il Sovranesimo è difesa dell’interesse italiano non becero-nazionalismo; è difesa della sovranità popolare e non cieco egoismo; vede con favore, anzi auspica, trattati, scambi, accordi, confronto, dialogo e pure una prospettiva confederale, ma non accetta la resa e vuole un’Europa forte che possa operare con efficacia nella competizione globale. Ma pretende che l’Italia giochi la propria partita senza delegare altri a giocarla per lei.

L’Europa esiste solo se le nazioni che la compongono manterranno la propria autonomia e conserveranno la propria specificità: la somma di tante debolezze politiche non darà come risultato una forza.

Non basterà una costruzione raffazzonata ed incoerente per affrontare le sfide con le altre potenze mondiali, perché presto o tardi le sue contraddizioni saliranno in superficie.

È pura miopia pensare, infatti, che gli interessi peculiari di una nazione prima o poi non si manifesteranno, sconvolgendo in un attimo tutte le astratte architetture partorite in laboratorio.

Il libro di Sarah Mosele – Dieci falsi miti sul sovranismo* – ci offre ulteriori spunti di riflessione.

Spiega con lucidità e senza inquinamenti ideologici le crisi odierne e ribalta il tavolo delle verità prestabilite offrendoci argomenti da contrapporre al pensiero unico euro-unionista, che, nella sue attuali giustificazioni, è solo un gigante dai piedi d’argilla.0

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