Tutte le persone orientate a sinistra – conoscenze occasionali o amicizie consolidate, con le quali ho avuto modo di chiacchierare – sempre mi hanno trascinato nella polemica disperdendo il mio e il loro pensiero in mille rivoli marginali che allontanano dal centro dell’argomento: strategia per non giungere al nocciolo della questione, che li vedrebbe contraddetti dalla realtà.

Mai sono riuscito a piazzare un ragionamento consequenziale, senza essere interrotto con perentorie richieste di presa di distanze da questo o da quello, o di banali specifiche che richiamano il tautologico assunto che l’acqua è bagnata.

Che senso ha dover sempre specificare che un attentato è un atto deprecabile? È così assodato che lo sia, quando si parla di terrorismo.

Oppure, che senso ha dover sempre specificare che non tutti i migranti sono delinquenti? Anche questa è una realtà così banale che è sciocco doverla sempre premettere quando si parla di migranti. È del tutto evidente che si tratta di una voluta dispersione, mirata a imbrogliare le carte quando si parla di quelli che giungono clandestinamente da noi (i quali sono delinquenti per premessa) che gli invasati dell’accoglienza a tutti i costi si sforzano di confonderli con gli immigrati regolari e onesti.

Per costoro è assodato che chi non la pensa come loro sia un deficiente oppure un povero ignorante, e calibrano i loro discorsi su questi due assunti:

  • se ti considerano deficiente, van giù diretto e duro arrivando persino agli improperi;
  • se ti considerano un ignorante, innescano la dialettica per indottrinarti, perché, così come la pensi, a loro non va bene.

È la democrazia, bellezza: se non ti adegui al loro pensiero, sei un antidemocratico, ovvero sei un sub-umano. La più prolungata pernacchia del miglior Totò costituirebbe la degna colonna sonora del loro concetto di democrazia e del loro metro di giudizio.

Alcuni esempi.

La persona orientata a sinistra non esiterà a criticare in maniera pesante e con epiteti offensivi Trump o la Meloni, Salvini o la Le Pen, incurante se nella platea di ascoltatori ci sia uno che li apprezza – o quanto meno non li disprezza – e dalla critica alla persona passerà immediatamente agli improperi nei confronti di quei «decerebrati», «mentecatti», «idioti» che sostengano uno dei succitati personaggi e che provino a prenderne le parti, magari tentando di riportare le argomentazioni di critica aprioristica e spesso infondata entro un perimetro di analisi seria e priva di vuoti improperi.

Uno degli elementi di punta di questo comportamento sinistro è Vauro, al quale fanno compagnia la «coscialunga della sinistra», Alba Parietti e, più in punta di fioretto, Lilli Gruber, la quale, dopo qualche stoccata, arriva poi a «svaccare» (naturalmente absint iniuria verbis) come gli altri.

È una questione di «trinariciutismo» di guareschiana memoria.

Lo «homo sinistrum» o, in ottemperanza al loro tanto caro mainstream, il «leftist», non ha dubbi: il suo pensiero è quello giusto e salvifico (proprio come quello degli integralisti islamici e i jihadisti) e tutti gli altri sono così marchianamente sbagliati che solo un deficiente può non accorgersene. Perciò, l’amico di sinistra, come l’amico islamista, farà di tutto per convertirti, e se non ce la farà si porterà garante per quell’handicappato che sei; se invece non ti è amico, il leftist ti consegnerà agli zampolit per il dovuto lavaggio del cervello o l’isolamento definitivo; l’integralista islamico, invece, ti dichiarerà kafir e ti farà lapidare.

Fin qui ho forse ecceduto nella celia, ma è assodato che il «leftist» è un uomo orientato a convertire le persone al verbo progressista e con lui la chiacchierata diventa un comizio sul modello Pajetta (1).

Mentre per l’uomo di destra, il «rightist», la questione è più leggera e se con il suo ragionamento non riesce a «convertirti», morta lì, non se la prende più di tanto, non si rovina il fegato a rimuginare su quel cretino che sei a essere di sinistra.

Il «leftist» invece si arrovella, si rode il fegato se quel cretino che sono continua ad essere un fascista, suprematista bianco e per di più omofobo. Una persona pericolosa per se stessa e per la società, quindi da «resettare».

Di questi tempi il «leftist», defraudato dei suoi strumenti più “truci” (la delazione, il lavaggio del cervello, l’autoaccusa, il gulag), si limita a tentare di convertire con il dialogo e, consapevole di aver dalla sua parte il mainstream, non ha remore a calar subito le sue carte e a mettere aprioristicamente in mora i suoi interlocutori, impedendo loro di poter avanzare nella loro analisi. Ad esempio, se dico che l’occupazione della collina del Campidoglio di Washington indica che una parte considerevole di americani è a favore di Trump (argomento clou, se si vuol cercare di capire l’episodio), vengo subito stoppato perché devo prima premettere che quelli sono suprematisti, fascisti, razzisti e Trump è un pazzo.

Vien da dire che, tutto sommato, ci è andata ancora bene perché se dopo il 1945 si fossero totalmente imposti i nonni di questi «leftist», tolleranti e giusti per autocertificata antonomasia, ci sarebbero toccati il lavaggio del cervello, il gulag, la delazione, i processi sommari e le altrettanto sommarie esecuzioni. Quello che, però, non è riuscito ai nonni partigiani, si sta, in qualche modo, realizzando oggi col pensiero unico democratico e progressista.

Sì, è la democrazia, bellezza! La democrazia dei leftist! Quella democrazia in cui il popolo è sovrano quando se ne sta buono a bersi le loro fesserie, mentre diventa un popolo di pericolosi ignoranti oscurantisti e suprematisti quando si dimostra refrattario al loro diktat.

Note

(1) Giancarlo Pajetta, partigiano ed intransigente esponente del Partito Comunista Italiano, scomparso nel 1990.

Articolo precedenteL’Azzolina non è Gentile
Articolo successivoIl Presidente della Repubblica: tra moral suasion e indirizzo politico