Le dichiarazioni di Papa Francesco in tema di omosessualità, rese note pochi giorni fa, hanno suscitato un’enorme impressione. Accolte favorevolmente dai fautori della dissoluzione morale, sono state, invece, fonte di scandalo per quanti ancora – cattolici o meno – abbiano a cuore la verità scritta nella natura umana e confermata dalla Rivelazione cristiana.

Occorre, inoltre, dire che le dichiarazioni di Bergoglio non solo sconcertano milioni di fedeli per la palese contraddizione con i dettami del magistero cattolico, ma costituiscono, di fatto, un importante assist al disegno di legge Zan sulla cosiddetta “omotransfobia”. L’intera compagine laicista ed ellegibitista ringrazia ed esulta.

Le ultime esternazioni di cui si è reso protagonista Papa Bergoglio si inseriscono pienamente nel solco del cammino da egli intrapreso sin dall’inizio del suo pontificato. Un cammino contraddistinto da un’impressionante accelerazione verso l’abbraccio con il mondo moderno e la sua mentalità, sostanzialmente anti-cattolica. Un cammino intrapreso dal Concilio Vaticano II, le cui radici affondano nell’eresia modernista, che in quell’assise ha avuto modo di imporsi, per poi diffondersi ovunque soffiasse il cosiddetto “spirito del concilio”.

Va detto con chiarezza che le considerazioni espresse dal pontefice oggi regnante rientrano nell’ambito delle azioni che egli compie da dottore privato (cioè, sono opinioni personali), e dunque non intaccano minimamente il magistero immutabile della Chiesa. Papa Francesco non ha voluto proclamare ex cathedra alcun nuovo insegnamento morale che impegnasse i cattolici ad accoglierlo come parte del magistero a cui attenersi obbligatoriamente. Ma è indubbio che le sue parole abbiano la capacità di produrre degli enormi effetti, la cui gravità non può sfuggire.

Che non vi sia da parte di Papa Francesco la volontà di porsi nel solco della Tradizione, in qualche modo è confermato anche dal fatto che abbia voluto privarsi del titolo di Vicario di Cristo (1), lasciando così intendere come egli non voglia operare in nome di Gesù Cristo, bensì per se stesso, oppure per qualcun altro.

A proposito delle dichiarazioni oggetto del presente articolo, lo scorso 21 ottobre il giornale della Conferenza Episcopale Italiana, Avvenire (il cosiddetto “giornale dei vescovi”), ha pubblicato un articolo di Luciano Moia dal quale riportiamo di seguito alcuni significativi brani, capaci di fornire lo spunto per qualche breve considerazione circa la gravità della situazione.

Da Avvenire del 21-10-2020 (articolo di Luciano Moia intitolato “Unioni omosessuali. Il Papa: giusto dare copertura legale”)

“Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge di convivenza civile. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo“. Lo afferma papa Francesco nel docufilm “Francesco” di Evgeny Afineevsky, presentato oggi in anteprima mondiale al Festival del Cinema di Roma, nella sezione Eventi Speciali. 

Dunque, Papa Bergoglio si è battuto affinché lo Stato riconoscesse legalmente le cosiddette “unioni civili”. Mentre milioni di cattolici nel mondo si battevano in difesa dell’ordine naturale, della legge morale e degli insegnamenti della Chiesa in tema di costume sessuale, il Papa si batteva nel fronte opposto al fianco di atei, laicisti, multinazionali (i colossi del mercato, fortemente impegnati nella promozione dell’omosessualismo e dell’ideologia gender) e potentati mondialisti di ogni genere (sono note, a tal proposito, le enormi pressioni esercitate, per esempio, dall’Unione Europea sui singoli Stati affinché introducessero nella loro legislazione leggi volte a tutelare l’omosessualità). In breve, Papa Bergoglio ha ammesso di aver condiviso le istanze del fronte anti-cattolico e di essersi speso affinché venissero accolte.

Altri stralci del medesimo articolo: “… il Papa interviene sul tema anche con una telefonata a una coppia di omosessuali italiani che gli avevano indirizzato una lettera. Andrea Rubera e Dario Di Gregorio, tre figli piccoli a carico avuti con la “gestazione per altri” in Canada, avevano chiesto al Papa come superare l’imbarazzo legato al loro desiderio di portare i figli in parrocchia alle lezioni di catechismo. La risposta di papa Francesco è stato inequivocabile: i bambini vanno accompagnati in parrocchia superando eventuali pregiudizi e vanno accolti come tutti gli altri. Andrea Rubera è presidente di “Nuova proposta”, associazione di cristiani LGBT di Roma. Molto bella poi la testimonianza di Juan Carlos Cruz, vittima e attivista contro gli abusi sessuali, presente al Festival di Roma insieme al regista. «Quando ho incontrato Papa Francesco mi ha detto quanto fosse dispiaciuto per quello che era successo. ‘Juan, è Dio che ti ha fatto gay e comunque ti ama. Dio ti ama e anche il Papa poi ti ama’».

(…) Papa Francesco riparla del rapporto tra Chiesa e gay il 21 maggio 2018, incontrando un omosessuale cileno, Juan Carlos, come riferisce il quotidiano spagnolo “El Pais”. Queste le parole di Francesco: «Juan Carlos, che tu sia gay non importa. Dio ti ha fatto così e ti ama così e non mi interessa. Il papa ti ama così. Devi essere felice di ciò che sei”.

(…) E poi di nuovo il 30 settembre dello stesso anno, ricevendo in udienza il gesuita padre James Martin, autore del libro del 2017 “Costruire un ponte: Come la Chiesa cattolica e la comunità LGBT possono entrare in una relazione di rispetto, compassione e sensibilità (Marcianum press 2017).

Infine il 16 settembre scorso, accogliendo al termine dell’udienza generale del mercoledì un gruppo di genitori con figli lgbt, sottolinea: “Il Papa ama i vostri figli così come sono. E anche la Chiesa li ama”. In quell’occasione accetta in dono una copia del libro “Genitori fortunati” (le storie delle famiglie che fanno parte dell’associazione tenda di Gionata) e una maglietta arcobaleno con una frase del Vangelo di Giovanni: “Nell’amore non c’è timore”.

Non solo, dunque, la tutela legale, da parte dello Stato, a coppie che scimmiottano il matrimonio in un rapporto da sempre condannato dalla Chiesa, ma addirittura accettazione dell’odiosa pratica del cosiddetto “utero in affitto”, nonché riconoscimento dell’omosessualità come condizione (e pratica) voluta da Dio, con buona pace della dottrina cattolica che definisce l’atto sessuale contro-natura come uno dei quattro peccati la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio. Questo è quello che si evince dalle parole e dagli atti di Bergoglio, checché ne possano dire gli esperti dell’arrampicata sugli specchi.

Dinnanzi a tale situazione, che fare? Non disperare, mantenere le posizioni. Restare saldi nella Fede, forti delle promesse di Cristo e radicati nel depositum fidei custodito e trasmesso da Santa Romana Chiesa, tesoro sul quale edificare una retta esistenza e che nessuno potrà mai distruggere.

Note

(1) Nell’Annuario Pontificio pubblicato il 25 Marzo 2020, il titolo di ‘Vicario di Cristo’ – che è parte integrante del munus petrinum (l’ufficio o il compito inerente alla funzione di Papa), e che fino all’anno scorso era elencato fra i titoli in testa alla pagina (Vicario di Cristo, Successore del Principe degli Apostoli, ecc.) – è stato indicato sotto la voce “Titoli storici”, quasi a significare che quello di Vicario di Cristo non è più un titolo attuale e, dunque, non è più parte del succitato munus. Tra i tanti pronunciamenti della Chiesa contro le cosiddette “unioni civili” tra omosessuali, dal sito Il cammino dei tre sentieri riprendiamo e pubblichiamo il seguente estratto del documento “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”, che la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò nel 2003 con l’approvazione di Giovanni Paolo II.  

«In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali […] è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. [5] Le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell’istituzione matrimoniale, all’unione tra due persone dello stesso sesso. Considerando i valori in gioco, lo Stato non potrebbe legalizzare queste unioni senza venire meno al dovere di promuovere e tutelare un’istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio. […] Occorre riflettere innanzitutto sulla differenza esistente tra il comportamento omosessuale come fenomeno privato, e lo stesso comportamento quale relazione sociale legalmente prevista e approvata, fino a diventare una delle istituzioni dell’ordinamento giuridico. Il secondo fenomeno non solo è più grave, ma acquista una portata assai più vasta e profonda, e finirebbe per comportare modificazioni dell’intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune. […] La legalizzazione delle unioni omosessuali sarebbe destinata perciò a causare l’oscuramento della percezione di alcuni valori morali fondamentali e la svalutazione dell’istituzione matrimoniale. (…). Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale. La Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. […] Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità».

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